La cassazione è intervenuta per chiarire la natura fiscale di determinate spese fatte da una casa di moda
E dunque quelle riguardanti gli abiti dati ai vip devono essere considerate come spese di rappresentanza, in assenza di prove che dimostrano il contrario
Il caso
L’Agenzia delle entrate aveva notificato ad una società di alta moda un avviso di accertamento per il valore della produzione netta. Questo imponeva di recuperare a tassazione l’Irap per l’anno d’imposta 2004 e anche i costi di public relations fatti da società terze, rispettivamente di nazionalità britannica e statunitense. Questi erano dunque somme, corrisposte dalla griffe italiane, per la cura dei rapporti con la stampa locale e per la consulenza dategli nello sviluppare una strategia pubblicitaria nei mercati in cui la società operava (Uk e Usa). In un primo momento i giudici di merito hanno accolto la ricostruzione fatta dalla società e dunque hanno anche loro compreso i costi in termini di “spesa di pubblicità”. “le società interessate curavano, tra altre attività, i rapporti con la stampa mediante sviluppo di relazioni con giornali specializzati e non, e con emittenti televisive, nonché assistenza e consulenza per la definizione e realizzazione di politiche pubblicitarie, curavano la organizzazione di eventi quali sfilate e inaugurazioni di boutiques; pertanto non si trattava di pubblicizzazione del marchio, ma vere e proprie prestazioni di servizi strettamente correlate ai ricavi”, si legge nella decisione della commissione provinciale.
Stessa conclusione anche la commissione regionale che ha riconosciuto i costi come spese di pubblicità, la deducibilità totale di queste.
L’Agenzia delle entrate dopo queste due decisioni ha proposto ricorso in cassazione sostenendo che le spese fatte dalla casa di moda non potevano essere considerate come pubblicità ma bensì come spese di rappresentanza.
La decisione
I giudici dopo aver cercato e individuato la distinzione tra spese di pubblicità (quelle dove ci si aspetta un ritorno commerciale) e di rappresentanza (quelle fatte senza che ci sia un’aspettativa commerciale) hanno dichiarato che è compito del contribuente dimostrare la natura effettiva delle spese sostenute. La distinzione è importante perché a queste sono legale due diversi tipi di deducibilità fiscale.
I giudici hanno dunque spiegato come la cessione gratuita a vip di capi d’abbigliamento griffati è sicuramente all’interno della categoria legale “pubblicità o propaganda”. E quindi ha ribadito che il contribuente (la casa di moda in questo caso) dovrà dimostrare il collegamento, obiettivo e immediato, della spesa sostenuta, con la promozione dei capi indossati, con l’aspettativa di ottenere un maggior ricavo dalla loro vendita, non potendo la società di moda limitarsi a rilevare, che i vestiti donati ai personaggi dello spettacolo sono stati pubblicizzati in riviste del settore e visti alle sfilate dai principali compratori. Se non ci sono prove concrete queste spese non potranno essere collegate alla pubblicità. Inoltre, la corte ha affermato che la gratuità della cessione ben può essere considerata ulteriore caratteristica rilevante per la connotazione della spesa per rappresentanza .