Tutto inizia con un micio, il buffo Nyan Cat di Chris Torres. La vendita dell’nft della sua gif animata è la prima avvisaglia che qualcosa, in quella nicchia da nerd che era il mondo dei non fungible token, sta per cambiare. Nel febbraio 2021 il gattino con la scia arcobaleno incassa 561.000 dollari. Record destinato a durare ben poco: l’11 marzo dello stesso anno termina da Christie’s l’asta online che frutta al collage fotografico di Beeple, Everyday: The First 5000 Days, oltre 69 milioni di dollari. Un’esplosione arrivata «non senza preavviso», scrive il professor Domenico Quaranta, critico d’arte e curatore, nel suo Surfing with Satoshi (Postmedia Books, 2022), di cui tuttavia «hanno colpito e scioccato l’accelerazione, l’energia, la capacità improvvisa di riscrivere o cancellare la storia».
Nft, blocchi e arte digitale. A tu per tu con Domenico Quaranta
Gli nft vengono salutati come la prima vera applicazione operativa della blockchain, forse l’unica possibile per il grande pubblico da quel lontano giorno di Halloween 2008, quando le ceneri di Lehman erano ancora calde e un tal Satoshi Nakamoto rilasciava – a un pubblico di insider – il white paper che avrebbe rivoluzionato la tecnofinanza, con la promessa di creare un mondo senza quegli intermediari finanziari rei di aver alimentato il sistema dei mutui subprime. Ma la blockchain è una tecnologia complessa, e la difficoltà di comprenderla ne ha compromesso la disintermediazione. Del resto, come scrive Quaranta, «gli nft non risolvono la questione della facile duplicabilità di un file digitale: video e immagini caricate sui marketplace sono facilmente scaricabili da chiunque. Si limitano ad associare questi file a un certificato – unico e non duplicabile – registrato sulla blockchain».
Un frame della gif Nyan Cat, di Chris Torres
Siamo dunque arrivati alla fine del sogno?
«Non credo che si sia infranto il sogno. Si tratta semplicemente di ridimensionare alcune promesse che le possibilità di blockchain e web3 sembravano rendere “assolute”. È vero che la catena dei blocchi con la sua struttura e i suoi meccanismi di sicurezza necessita di altre strutture – società o individui – per interagirvi. Possiamo individuare di continuo elementi che ne compromettono la decentralizzazione. L’impatto di interessi singoli può essere molto forte, come dimostra la vicenda FTX. Quella fiducia quasi religiosa nella disintermediazione degli inizi va ridimensionata. Si deve diventare più laici».
Qual è lo stato attuale del mercato e la sua prospettiva di sviluppo, secondo lei?
«Da un lato, è evidente che le criptovalute siano in crisi. Può trattarsi di ciclicità, come accaduto in passato. Anche in conseguenza del fenomeno nft, l’anno 2021 è stato eccezionale per il ritmo e la portata della loro crescita. Era prevedibile che a quel momento eccezionale avrebbe fatto seguito una contrazione. Ciò che non si poteva prevedere era la sua profondità. Sul fronte nft, c’è stato l’intervento di alcuni acceleratori come Christie’s (la piattaforma Christie’s 3.0, ndr). Ma il sistema dell’arte è stato abbastanza guardingo nel corso del 2022; la spinta propulsiva al collezionismo è arrivata da chi era già sul mercato nft e ne aveva familiarità. L’anno trascorso può essere considerato un momento educativo, di consolidamento. Nelle piattaforme, si è fatto strada un approccio più curatoriale e selettivo, con la promozione di artisti solidi, riconoscibili. Secondo l’Art Market Report di Art Basel, il collezionismo nft nel 2022 è addirittura aumentato. Segnale che la fiducia nei confronti di questa tecnologia come strumento per regolare le transazioni artistiche non è scemata. Il segmento nft non coincide con quello crypto. Ne è influenzato, ma non del tutto: è un universo a sé. Piattaforme come Reddit, Instagram, TikTok hanno implementato soluzioni nft al loro interno: a prescindere dalle turbolenze, questa tecnologia comincia a essere ritenuta solida, durevole».
Gli nft servono più ai collectibles in generale o alle opere d’arte?
«Credo a entrambi. La necessità della certificazione e l’esigenza di rendere interoperabile un bene digitale, ossia trasportabile da una piattaforma a un’altra, da un metaverso all’altro, si è manifestata prima nel mondo del gaming che in quello dell’arte. Quest’ultimo aveva già i suoi sistemi di certificazione dei beni, tanto digitali (video, fotografia) che non. Non aveva bisogno degli nft. L’esigenza invece si poneva per chi voleva certificare la proprietà del suo avatar. Ma il sistema può tornare utile a entrambi i settori. Per quanto riguarda il mercato dell’arte, si tratta della possibilità di gestire in maniera automatizzata il diritto di seguito. Esistono blockchain (come quella di Art Basel) non associate alle criptovalute, passibili di essere utilizzate solo per comunicare che un bene è associato a un token e che quel token monitora i movimenti dell’asset, garantendone la corresponsione dei diritti».
E il rapporto con le criptovalute?
«Il valore dell’opera viene associato a un token digitale su una blockchain. Se questa blockchain, mettiamo Ethereum, ha una criptovaluta interna, si crea un altro possibile scambio di valore: quando compro un nft su quella rete, non solo investo su un’opera d’arte, ma anche su una valuta che nel corso del 2021 è cresciuta molto rapidamente. A differenza che se avessi pagato in valuta fiat, ho acquisito qualcosa che è aumentato di valore anche per il suo collegamento intrinseco al mezzo di pagamento. Ciò crea un rapporto ambiguo fra valore della criptovaluta associata e nft, dato che il suo valore può fluttuare in funzione della crypto». Una premessa per comportamenti di natura speculativa. «Viceversa, quando il non fungible token è registrato su una blockchain scollegata da una crypto, funzionante solo come libro mastro per le transazioni e il pagamento delle royalties, la speculazione è fortemente disincentivata. Queste piattaforme consentono ai loro clienti di pagare senza essere vincolati a una criptovaluta».
C’è da auspicare una emancipazione della crypto arte dalle criptovalute.
«Si. Questo permetterebbe di riflettere più serenamente sul valore e sulla qualità dell’arte in sé. Molto spesso la speculazione ha dato visibilità e legittimato pratiche artistiche di per sé non particolarmente interessanti. Se sono cadute è perché hanno manifestato il loro disvalore artistico».
Cosa ci portiamo di tutto questo nel 2023?
«La possibilità di continuare a guadagnare dalla vendita dell’opera sul mercato secondario; quella di manifestare un comportamento collettivo tramite DAO (decentralized autonomous organization) ovvero una forma particolare di smart contract che regola il comportamento di un gruppo di utenti, di wallet. Ha già stimolato esempi di collezionismo partecipativo».
Quali sono i suoi artisti preferiti?
«Sono abbastanza critico nella definizione di criptoarte. È una comoda scappatoia per separare gli artisti digitali dagli altri, ma non delinea una tendenza artistica; è solo un’arte collezionabile in edizione limitata, registrata con un token su una blockchain. Ho seguito molto il lavoro di diversi artisti digitali che già conoscevo ed erano per me interessanti, cercando da non farmi influenzare troppo dal loro successo di mercato. Trovo un livello qualitativo molto alto in Pak».
Ma è colui (o coloro, la sua identità non è nota, ndr) che con 92 milioni di dollari ha scippato a Beeple il record di artista crypto più costoso!
«Lo giudico solo dal suo lavoro. Intelligente, solo apparentemente iper affermativo. Ce ne mostra in realtà i meccanismi profondi, lasciandoci anche lo spazio per giudicarli, interpretarli. Vedo in lui la capacità di costruire uno specchio imparziale del mondo nft».