Cosa lega valute digitali, banche centrali e disintermediazione finanziaria?

Diverse banche centrali stanno esplorando la possibilità di introdurre una valuta digitale, ma il processo non sarebbe senza rischi. Gli esperti di T. Rowe Price ne hanno esplorato le insidie

L’eventuale emergere di valute digitali emesse dalle banche centrali (central bank digital currency, cbdc) potrebbe vedere aumentare il rischio di disintermediazione finanziaria in diversi paesi del mondo. È questo quanto ipotizzato da Tomasz Wieladek e Aadish Kumar, International economist di T. Rowe Price, secondo cui tale fenomeno potrebbe accelerare durante periodi di crisi economica, in cui la fiducia nel sistema bancario diminuisce. Il rischio principale dell’emissione di cbdc per gli istituti finanziari, infatti, potrebbe essere rappresentato dal trasferimento di denaro dalle banche commerciali alle banche centrali, con il cbdc considerato dagli investitori come una forma di credito più sicura. Un avvenimento cui potrebbe contribuire la natura digitale della valuta, che rimuoverebbe eventuali limiti legati ai costi di detenzione di contanti.
Tuttavia, le cbdc potrebbero non rappresentare una minaccia per quei paesi in cui i tassi di disintermediazione finanziaria sono già elevati, come negli Stati Uniti. Al 2018 infatti, solo il 25% delle attività finanziarie Usa vedeva coinvolto il sistema bancario, in confronto al 70% dell’Eurozona, secondo i dati Haver Analytics e World Bank World Development Indicators.

Cosa sono i cbdc?

L’innovazione digitale ha ridisegnato l’ecosistema bancario e finanziario: gli intermediari hanno trasformato il loro modo di fornire servizi finanziari, sono emerse nuove società tecnologiche (soprattutto nell’ambito del Fintech) e le abitudini delle persone sono cambiate. La pandemia ha funzionato come acceleratore di questi trend, soprattutto per quanto riguarda le preferenze nei confronti di mezzi di pagamento digitali. In aggiunta, la potenziale crescita e diffusione delle criptoasset con funzione di pagamento sembrano aver trasformato il concetto di moneta. In questo contesto, le principali banche centrali hanno iniziato a esplorare la possibilità di introdurre una valuta digitale, ovvero una cbdc. Una definizione è stata fornita dalla Banca d’Italia, che la identifica in un mezzo di pagamento emesso dalla banca centrale (ovvero una passività nel bilancio della banca) in forma digitale, reso disponibile per l’uso al dettaglio da parte del pubblico.

L’introduzione di cbdc negli Usa comporta rischi minori

Come possono le banche centrali introdurre nuove valute digitali senza incorrere in effetti collaterali come aumento del rischio di disintermediazione finanziaria e i conseguenti dubbi sulla stabilità del sistema generale? Una soluzione potrebbe essere l’introduzione di un limite alle partecipazioni cbdc, e di conseguenza dell’importo trasferibile dai depositi bancari commerciali. Wieladek e Kumar suggeriscono inoltre l’adozione di un modello ibrido, in base al quale gli intermediari del settore privato gestirebbero i servizi al dettaglio, ma la cbdc rimarrebbe un credito diretto nei confronti della banca centrale.
In ogni caso, dato il probabile minore impatto sulla disintermediazione finanziaria, negli Usa l’introduzione di cbdc potrebbe comportare minori restrizioni su quanto i cittadini possono detenere sottoforma di valute digitali. Infatti, negli Stati Uniti “le organizzazioni del settore privato hanno già promosso stable coin (tipologia di criptovalute che derivano il proprio valore da un sottostante esterno, ndr) sostenute dal dollaro, che sono liberamente accessibili ovunque” spiegano gli esperti. “Nel complesso, riteniamo che l’attuale struttura finanziaria degli Stati Uniti dia quindi ai responsabili delle politiche statunitensi meno disincentivi a introdurre una cbdc sul dollaro statunitense senza restrizioni e a renderla uno strumento finanziario accessibile a livello globale” concludono.

 

Il sistema finanziario include un sostanzioso capitale non bancario
Fonte: T. Rowe Price

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