Quel cassetto pieno di vecchie lire, che valore ha?

Sono ormai trascorsi 20 anni dall’introduzione dell’euro nella nostra vita quotidiana e spesso capita di ritrovarsi in casa vecchie monetine ormai fuori dal corso legale. Possono essere un tesoro? Dipende. Qui una piccola guida per scoprirlo

Passati vent’anni dall’ingresso degli euro, forse per via dell’uniformità delle tipologie monetarie e forse un po’ per cultura, si è quasi persa la vecchia consuetudine di conservare le classiche monetine straniere dopo un viaggio all’estero. I più adulti infatti ricorderanno che, tornati in patria, era impossibile riconvertirli in moneta locale. Pertanto, questi piccoli spiccioli venivano dimenticati in un cassetto, conservati come souvenir o collezionati da chi li ricercava sistematicamente.

Conseguenza di queste vecchie abitudini è che oggi le nuove generazioni, oppure chi non ha ancora scoperto il mondo della numismatica, ritrovando casualmente varie tipologie di vecchie monete, può chiedersi: «Sono antiche, forse varranno qualcosa?». Immediatamente in quel caso parte la ricerca on line, e si apre un universo di informazioni fake, che talvolta alimentano o sono loro stesse alimentate da tentativi di vendite presenti nelle più disparate piattaforme on line. Purtroppo, queste piattaforme consentono a chiunque di vendere senza un controllo preventivo qualsiasi prodotto, illudendo venditore e acquirente di aver venduto oppure acquistato un tesoro. 

Il valore delle vecchie lire: rarità, stato, richiesta

È il caso di fare chiarezza sui concetti fondamentali che determinano il valore ufficiale di mercato di una moneta; infatti, l’età non è assolutamente un parametro incisivo. Bensì lo sono la rarità e lo stato di conservazione, senza trascurare la richiesta sul mercato. La prima infatti dipende dal numero di pezzi coniati, ma anche da quanti ne sono rimasti reperibili. Lo stato di conservazione è forse il parametro più importante per la valutazione di una moneta. Esistono delle linee guida con una simbologia standard che indica i differenti stadi di usura comprendendo anche il massimo della conservazione che viene chiamato fior di conio. Naturalmente più la moneta è bella, più vale. 

Per quanto riguarda soprattutto la monetazione detta vile, la conservazione fa la differenza sul mercato ufficiale il quale premia solo gli esemplari fior di conio e deprezza quasi totalmente le monete che normalmente si trovano usurate per la lunga circolazione a meno che non abbiano un grado di rarità apprezzabile. La richiesta infine è quel parametro che universalmente regola tutte le transazioni commerciali e che anche nel mercato numismatico influenza le differenti tipologie di collezioni nei diversi paesi.

Qualche riflessione sulla moneta vile dal 1900 all’ingresso dell’euro

Analizzando in generale la produzione monetaria a partire dal 1900 fino all’ingresso dell’euro, in particolare quella destinata alla circolazione di massa in metallo vile (alluminio, rame, nickel ecc.), bisogna considerarla mediamente comune, in quanto composta da monete coniate in enormi quantitativi per soddisfare le continue transazioni quotidiane della popolazione in periodi in cui non esistevano le carte di credito e le transazioni on line. Pertanto, trovare vecchie monete è la normalità e non l’eccezione. Considerando quanto avvenne in Italia per esempio, nel passaggio da Monarchia a Repubblica, si può facilmente comprendere perché sia tanto comune trovare monete del periodo di Vittorio Emanuele III. Non avvenne infatti quello che accadde con il passaggio Lire-Euro, ovvero un continuo ritiro per emettere nuova moneta, ma una emissione di nuovo denaro senza il ritiro del precedente. 

Se consideriamo poi le ingenti tirature per il fabbisogno della popolazione, capiamo subito perché nei cassetti di zie e nonni sia così facile trovare queste monetine.

Naturalmente qualche eccezione esiste. 

La bassa emissione in un periodo particolare per via di eventi bellici, la coniatura inferiore di alcune tipologie (in quanto negli anni precedenti fu immessa una tiratura molto alta che già soddisfaceva ampiamente il fabbisogno), l’occupazione dei territori a causa dell’espansionismo coloniale (per un periodo limitato di tempo) e tanti altri motivi spesso casuali, hanno fatto sì che qualche spicciolo anche usato oggi risulti comunque ricercato nel mercato. Infine, non essendo possibile farlo per tutte le monete con le date più o meno rare coniate in metallo vile per la circolazione nel mondo nel XX secolo, si può fare un piccolo elenco di riferimento per quelle italiane.

Vecchie lire: ecco quelle che veramente valgono

Per quanto riguarda le Lire della Repubblica Italiana che hanno circolato prima dell’euro, le uniche che hanno valore non fior di conio, quindi usate, sono:

tutte le monete coniate nel 1946 e 1947; 

la 5 lire del 1956; 

la 2 e la 50 lire del 1958.

Per le lire del ‘900 del Regno d’Italia:

1 centesimo del 1902, 1908 (tipo allegoria), 1911 e 1918; 

2 centesimi del 1907, 1908, 1910 e 1912; 

5 centesimi del 1908, 1909, 1912, 1913, 1915, 1919, 1936 (tipo aquila), il 1937 (tipo spiga); 

10 centesimi del 1919 e 1936 (tipo stemma); 20 centesimi del 1920 e 1936; 

25 centesimi del 1902 e 1903; 

50 centesimi del 1924, 1936 e 1943; 

1 lira del 1936 e 1943; 

2 lire del 1926, 1927, 1928, 1936, 1941, 1942 e 1943. 

Se vi capita di trovare una di queste monete, rivolgetevi ad un numismatico professionista che, in base al suo stato di conservazione, vi darà l’esatta valutazione che ricordo, può variare a seconda del grado di usura. 

La monetazione in oro e in argento invece merita un’accurata analisi differente, in quanto presenta peculiarità e dinamiche di mercato differenti. Ve ne daremo notizia prossimamente.

Gli articoli pubblicati sono stati realizzati da giornalisti e contributors di We Wealth e vengono forniti a Poste Premium a scopo informativo.


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