La decarbonizzazione è un obiettivo su cui sono al lavoro tutti i paesi e le aziende col fine di ridurre la temperatura globale di 1,5°C entro il 2050. La strada verso un’economia a zero emissioni di carbonio, per raggiungere il cosiddetto “Net Zero”, è lunga e tortuosa ma può offrire agli investitori un potenziale di rendimento a lungo termine. In questo senso, è fondamentale fare un’attenta valutazione dei piani di transizione delle società impegnate nel raggiungimento di questo goal sostenibile, per comprendere sia i rischi, sia le opportunità degli investimenti green. La parola a Michelle Dunstan, chief responsibility officer, Adrienn Sarandi, Global Head of ESG Solutions & Strategic Initiatives e Tal Lomnitzer, senior investment manager del Global Sustainable Equity Team di Janus Henderson Investors.
Come individuare piani di transizione credibili
Valutare la credibilità di un piano di transizione aziendale non è semplice, ma è il primo passo per visualizzare e cogliere le eventuali opportunità di investimento.
“Per essere credibile – spiega Adrienn Sarandi – un piano di transizione deve illustrare dettagliatamente sia il modo in cui l’azienda intende rispettare il suo impegno per azzerare le emissioni nette, sia i principi alla base dell’attuazione di questa ‘strategia climatica’. Può essere sostenuto da evidenze scientifiche e un piano d’azione puntuale e, oltre a questo, andrebbe corredato di una descrizione dei progressi chiara e trasparente”.
Sebbene gli investitori siano consapevoli dell’importanza di pianificare una transizione climatica di lungo termine, è difficile capire quali progressi possano considerarsi realmente attendibili. E di conseguenza, capire quali sono le società all’avanguardia e quali, invece, quelle più in ritardo. Per colmare questo gap, gli esperti della casa di gestione angloamericana hanno realizzato un quadro di riferimento interno, il JHI Transition Assessment Tool, che con oltre 110 indicatori permette di esaminare a fondo le strategie delle aziende e misurare la capacità di mantenere i loro impegni climatici.
“Attualmente – spiega Michelle Dunstan – le aziende in linea con il contenimento dell’aumento della temperatura globale sono molto poche e, per questo, l’universo investibile oggi risulta molto ristretto. Investire solo nelle aziende low-carbon migliori della categoria, significa ‘rifugiarsi’ in un portafoglio molto limitato e irregolare, senza cogliere l’opportunità di guidare un cambiamento nel mondo reale”.
Transizione climatica: opportunità o rischio?
Se da un lato, quindi, le opportunità di ottenere rendimenti a lungo termine non mancano, dall’altro, non può passare inosservato il contributo positivo (e indispensabile) che gli investitori possono dare per dare una spinta alla transizione.
“Le opportunità derivano dal fatto che i sistemi energetici, industriali, di trasporto, di produzione e consumo, in tutto il mondo, stanno lavorando duramente al passaggio a un’economia a basse emissioni di CO2”, spiega Tal Lomnitzer. Nei prossimi anni e fino al 2050, infatti, sono previsti investimenti pari a circa 140.000 miliardi di dollari, soprattutto nel settore dell’energia sostenibile e nelle infrastrutture associate. “Non è detto che tutte le aziende riescano a progredire allo stesso modo e alla stessa velocità. Il rischio per loro è di avere attivi non recuperabili e di perdere quote di mercato, mentre gli azionisti potranno solo ‘accontentarsi’ di rendimenti scarsi”.
Soluzioni Green, Enabler e Improver
Gli esperti di Janus Henderson Investors hanno individuato tre categorie di aziende che raggruppano le più virtuose sul fronte della transizione:
La prima raggruppa le soluzioni ecologiche o green, ovvero tutte le aziende produttrici di tecnologie a basse emissioni come turbine eoliche, pannelli solari o semiconduttori per veicoli elettrici e tecnologie pulite.
Secondo le stime, la produzione di energia eolica offshore è destinata a passare dai 30 GW del 2023 ai 60 GW entro la fine del decennio, soltanto in Europa. Per poi arrivare a 300-500 GW nel 2050. “Da qui le ottime potenzialità della categoria, nello specifico dei produttori di turbine eoliche” – sottolinea Lomnitzer. E considerando anche le iniziative messe in campo dai governi per spingere sull’eolico, tra cui il Piano REPowerEU, le opportunità per gli investitori non mancano.
La seconda categoria è quella degli Enabler e riunisce i cosiddetti “facilitatori”, cioè tutte le aziende coinvolte nella catena di approvvigionamento di materie prime e tecnologie che sono essenziali per la transizione. Tra queste figurano, per esempio, le aziende impegnate nell’estrazione mineraria e dei metalli, come il rame, fondamentale per il processo di elettrificazione.
La terza è, invece, quella degli Improver. Questa categoria raggruppa tutte quelle società che stanno migliorando il loro approccio alla transizione. Tendenzialmente mostrano una significativa impronta di carbonio ma, parallelamente, dimostrano un notevole impegnando per ridurla. Un’area in cui, secondo gli analisti della casa di gestione angloamericana, si assiste e assisterà al maggior numero di cambiamenti.
Per concludere
La costruzione di un portafoglio equilibrato richiede la considerazione sia dei rischi, sia delle opportunità legate alla transizione climatica.
“Disinvestire o investire solo in aziende leader in questo mercato – conclude Lomnitzer – può non essere la strategia giusta per cogliere le opportunità e imprimere un cambiamento reale e tangibile in futuro. Per questa ragione in casa Janus Henderson Investors viene fatta un’attenta analisi delle società, dei loro obiettivi di transizione e dei modelli di business, con un approccio che tiene conto delle vendite, degli utili e della crescita del flusso di cassa per azione”.
Valutare l’attendibilità dei piani aziendali di transizione è cruciale per individuare le aziende più promettenti quando si parla di Net Zero. “Per farlo, forniamo agli investitori tutti gli strumenti e le competenze necessarie ad affrontare questa complessa ma promettente transizione, senza dimenticare il nostro obiettivo: generare i migliori rendimenti risk-adjusted favorendo, allo stesso tempo, il cambiamento”.