Secondo la scienza la fiducia, che è in sostanza la sensazione di essere al sicuro, si consolida nei primi 120 millisecondi di ogni relazione. Su questa prima impressione si deve innanzitutto lavorare per partire con il piede giusto (nella vita come nel wealth management). Diversamente la strada sarà tutta in salita
Attenzione, livello di coinvolgimento ed emozioni possono essere rilevati e indirizzati. E questo vale in particolare nei colloqui via zoom dove si realizza un livello di esattezza del 98%, registrando i movimenti dei bulbi oculari, le variazioni nella colorazione della pelle del viso dell’osservatore e le espressioni facciali
Rendere espliciti i fattori alla base delle decisioni
“Gran parte dei fattori che determinano le decisioni umane sono impliciti, non consapevoli per chi assume le decisioni. Le neuroscienze, godendo di un punto di osservazione preferenziale (la vista del cervello) possono rendere espliciti e consapevoli questi fattori, aiutando le persone a mettere in campo comportamenti più funzionali”. A dirlo a We Wealth Silvio Malanga, founder e ceo di H2O-Human to organization, società di consulenza fondata nel 2016 e che annovera tra i clienti le maggiori banche (Unicredit, Credem – Banca Euromobiliare, Banca generali, Bper, Bnl) e assicurazioni italiane (UnipolSai, Generali). Alle strutture di private banking e wealth management H2O insegna come instaurare “la fiducia, che offre al cliente la sensazione di essere al sicuro e che dipende innanzitutto da quella che comunemente viene definita prima impressione”. Questa prima impressione si consolida, secondo quanto emerso da uno studio dell’Università di Firenze “nei primi 120 millisecondi e determina la direzione che prenderà la relazione, ovvero se si inizierà in salita o in discesa”.
Un approccio scientifico alla costruzione di relazioni durature
Quello che Malanga propone, in particolare alle strutture di wealth management e private banking, è un approccio scientifico che parte dall’osservazione degli impulsi elettrici del cervello per costruire una chiave di lettura delle dinamiche emozionali e costruire su di esse. “Misuriamo cosa succede alle persone quando vivono le esperienze – dice Malanga – quello che emerge dai nostri esperimenti condotti in collaborazione con il dipartimento di neuroscienze dell’Università Cattolica di Milano è chiaro. Collegando neurodevice alle persone coinvolte in un colloquio di sviluppo tra gestore e prospect, abbiamo rilevato che in assenza di feeling iniziale, la relazione non riusciva a prendere il volo. E quando si parlava di branding si osservava una calma piatta emozionale, a significare un cliente profondamente distaccato. Infine, se nella fase del closing il gestore faceva pressing per vendere, l’interlocutore alzava le barriere e il cervello si attivava per cercare una via di fuga”. E dunque? “E dunque è necessario cambiare il modo di fare i colloqui: le barriere al closing e il flusso di diffidenza (la mancanza di sintonia emotiva) si riducono quando il consulente fa parlare il cliente all’inizio delle sue vicende personali e solo dopo innesta il tema del branding. In conclusione, le persone non comprano un prodotto o un consulente ma un’alchimia che va creata che va ben al di là del protocollo tecnico. Questo spiega anche perché a parità di competenze e preparazione, capiti che un consulente chiuda una vendita e un altro no: è l’imponderabile dimensione dell’essere, non del sapere, a fare la differenza”. La buona notizia è che esiste un margine per apprendere questa dimensione dell’essere e applicarla. “Si deve partire dalle proprie specificità – continua Malanga – noi utilizziamo specifici tool di self assesment per capire quali siano i tratti caratteristici della propria comunicazione, per esempio se si è un profilo più tecnico o più relazionale, come punto su cui costruire”.
Misurare le emozioni? Si può anche se il colloquio è via zoom
Il Covid – e il conseguente boom delle comunicazioni digitali – rende questo approccio scientifico ancora più fruibile. Misurare le emozioni di chi abbiamo di fronte è possibile e perfino più facile nei colloqui mediati da un monitor, che oggi tendono a essere prioritarie. “Attenzione, livello di coinvolgimento ed emozioni possono essere rilevati attraverso la webcam, con un livello di esattezza del 98%. Lo si fa registrando i movimenti (micro e macro) dei bulbi oculari per ottenere informazioni su cosa genera attenzione e sul livello di mantenimento dell’attenzione stessa. – dice Malanga – È possibile misurare l’Heart Rate Variability (Hrv), per determinare ingaggio e coinvolgimento, attraverso le variazioni nella colorazione della pelle del viso dell’osservatore. Ancora, le emozioni primarie sono rilevate tramite l’analisi delle espressioni facciali (facial coding) dell’audience. In questo modo raccogliamo elementi per sapere se riusciamo ad attrarre l’attenzione dell’interlocutore parlando, se lo sfondo che usiamo dietro di noi presenta elementi di distrazione, quali escamotage usare per coinvolgere l’audience e per instillare emozioni positive. Abbiamo misurato che correggendo il tiro rispetto a quello che non funziona, la comunicazione diventi più efficace del 25%”. Il segreto sta nella capacità di accorciare la distanza psicologica, la misura di quanto ci si senta dentro a un’esperienza o diversamente la si viva con profondo distacco. “Ancora una volta – conclude Malanga – non è il grafico della competenza tecnica che riduce questa distanza, ma la fiducia”.