“In Italia il 40% delle medie imprese ha come governance un amministratore unico o un presidente operativo”, spiega Guido Feller, head of wealth planning Azimut
Le aziende familiari in Italia “rappresentano quasi il 60% del valore aggiunto nazionale” e “danno lavoro al 70% della popolazione impiegata complessiva, circa 800mila persone”, ricorda Calogero Immordino, partner di Excellence Design Thinking
Secondo i dati dell’Osservatorio AUB le migliori imprese familiari sono caratterizzate da un maggior numero di consiglieri esterni nel cda
“Quando si parla di family business non si deve pensare solo al passaggio generazionale. Ne siamo quasi ossessionati”, commenta Salvatore Sciascia, professore di family business, stratgia e performance aziendali presso l’Università Liuc. “La sfida – prosegue – è la crescita. È importante per le imprese stesse, ma anche per il Paese: se aiutiamo le imprese familiari a crescere aiutiamo il Paese”.
Per Sciascia, “è chiaro quali siano gli ostacoli e quanto possa essere lungo il processo di crescita, ma è una sfida che possiamo affrontare”. Secondo i dati dell’Osservatorio AUB, promosso da Aidaf, Unicredit e Bocconi, “le imprese familiari che sono cresciute di più sono quelle in cui membri sanno che diritti e doveri dipendono non dalla posizione che occupano nell’albero genealogico, ma nella piramide della governance”, ricorda Sciascia.
“Dai dati dell’Osservatorio emerge come le migliori imprese familiari siano caratterizzate da un maggior numero di consiglieri all’interno del cda e – tra questi – da un maggior numero di consiglieri esterni. Anche la famiglia deve sviluppare una certa disciplina”, aggiunge il professore.
Infatti, spiega ancora il professore, le imprese di famiglia che sono cresciute di più nel tempo sono state anche quelle che hanno introdotto il cosiddetto ‘accordo di famiglia‘, un accordo scritto in cui si stabiliscono le regole della gestione familiare d’impresa. “A crescere di più – aggiunge Sciascia – sono le aziende con un moderato coinvolgimento familiare. L’apertura verso l’esterno è necessaria”.
“Avere un socio esterno alla famiglia è un aspetto importante”, commenta Matteo Bonelli, partner dello studio legale BonelliErede. “Se hai un fondo di private equity o di venture capital come socio – sottolinea Bonelli – avrai un ‘sistema operativo’ diverso da quello di un familiare. Avrà una chiara modalità operativa e una certa direzione. Mentre nelle famiglie si trovano delle complessità che rendono molto difficile il lavoro dei consulenti, che si devono confrontare con una realtà non standardizzata. Ogni famiglia ha la sua impronta e ci sono tante variabili.
Il ruolo delle imprese familiari in Italia
L’85% delle piccole e medie imprese italiane “sono familiari e producono il
60% del valore aggiunto nazionale. Sono circa 784.000 e pesano il 70% in termini di occupazione complessiva. Un panorama molto esteso”, ricorda Calogero Immordino, partner di Excellence Design Thinking, società di consulenza per aziende non finanziarie del gruppo Excellence. Sono caratterizzate da alcune sfide che devono saper cogliere nel loro percorso di crescita.
“Le aziende familiari – aggiunge – hanno qualcosa in più nel loro dna: analisi effettuate su un portafoglio di imprese familiari con oltre 50 milioni di fatturato dimostrano che la redditività e altre caratteristiche legate alle prestazioni sono superiori rispetto a quelle di aziende non familiari. Inoltre, le aziende familiari in Italia rappresentano numericamente quasi il 60% del mercato azionario”.
Anche per Immordino, un’azienda familiare solida deve però avere innanzitutto un buon cda: “Deve essere composto da persone preparate, che conoscano bene le caratteristiche dell’azienda anche se sono esterne. Devono indirizzare il cda e aiutarlo a attuare una strategia con cognizione di causa”. Una strategia che, sottolinea Immordino, “dovrà tenere conto della visione e dei valori aziendali espressi dal fondatore/imprenditore”.