Dal report del ministero del Lavoro, Anpal, e Banca d’Italia relativo a luglio 2022, emerge che l’occupazione dipendente è in crescere. Una bella notizia per le aziende e anche per gli stessi lavoratori, ma attenzione a evitare alcuni bias molto frequenti nella selezione del personale. Da gennaio a giugno di quest’anno sono state create, infatti, circa 230mila posizioni lavorative da dipendente, al netto dei fattori stagionali, quasi 100mila in più rispetto allo stesso periodo del 2019. I dati Istat lo confermano ed evidenziano un altro fattore importate: il tasso di occupazione, a giugno 2022, è salito al 60,1%: valore record dal 1977. Gli occupati tornano così a superare i 23 milioni. Rispetto a giugno 2021, si registra un rialzo dell’1,8% (+400mila) soprattutto a causa dei lavoratori dipendenti che ora ammontano a 18 milioni e 100mila.
Molte aziende, medie o grandi, e anche tante piccole realtà, negozi o ristoranti, si sono già trovati di fronte alla necessità di assumere nuovo personale.
E si sa, le risorse umane sono fondamentali per ogni azienda. Un team di lavoro adeguato può aiutare l’azienda a svilupparsi, ingrandirsi o semplicemente funzionare in modo efficace e organizzato. In caso contrario, gli stessi dipendenti possono essere di ostacolo allo sviluppo dell’azienda.
Un valido responsabile delle HR sa cosa valutare in un candidato e anche quali domande porgli per coinvolgerlo e spingerlo a esprimere il vero se stesso. Quello che però spesso sfugge anche al migliore selezionatore, è che non basta il tipo di domanda che si fa al candidato, ma anche come si valuta la sua risposta.
Come ogni essere umano, anche il recruiter applica dei filtri personali attraverso i quali può avere una percezione distorta della realtà, senza accorgersene.
La psicologia definisce i bias cognitivi come costrutti fondati su percezioni errate o deformate, su pregiudizi o ideologie. Chi mette in atto un bias, esce dal giudizio oggettivo e crea la propria realtà sulla base dell’interpretazione, deviando così dai fatti. Questi errori cognitivi impattano nella vita di tutti i giorni e ci fanno prendere decisioni o mettere in atto comportamenti non sempre funzionali.
Di bias cognitivi ne esistono tantissimi (e negli anni la psicologia ne individua sempre di nuovi), e quelli di seguito sono i più temuti e da evitare per chi deve valutare un candidato (ma anche un bene o un servizio).
Bias 1 – Effetto recency
È più facile ricordare le informazioni che sono state lette, visualizzate o ascoltate per ultime. Questo pregiudizio avvantaggia l’ultimo candidato che si è incontrato, semplicemente perché il colloquio è ‘più fresco’ nella propria mente, e il rischio è di preferire lui a un altro – magari incontrato molto tempo prima – più idoneo, ma di cui ci si è dimenticati il valore.
Per superare questo bias, è utile prendere appunti per ogni candidato subito e valutare con un voto numerico ogni voce importante. Per la valutazione, ogni recruiter potrebbe adottare un metro di giudizio oggettivo.
Bias 2 – Effetto della semplice esposizione
È il fenomeno che porta a sviluppare una preferenza per le caratteristiche con le quali si ha maggiore familiarità. Se un candidato ama fare kite surfing e quello è anche l’hobby del recruiter, ecco che il recruiter, inconsciamente, potrebbe essere maggiormente sedotto da quel candidato. Per superare questo bias: è bene chiedere informazioni personali al candidato per comprendere altri aspetti della sua vita, ricordandosi di relativizzarle e non renderle determinanti nella scelta finale.
Bias 3 – Effetto della prima impressione
Identifica un errore cognitivo per cui le prime informazioni ricevute determinano l’impressione complessiva del candidato. Le neuroscienze affermano che ci bastano 7 secondi (il tempo di un saluto e una stretta di mano) per valutare una persona che incontriamo per la prima volta. Inconsciamente, il nostro cervello “scannerizza” una serie di dettagli (abbigliamento, linguaggio verbale e non, etc) e su quello si crea un’impressione che è difficile poi modificare.
Per superare questo bias, occorre consapevolmente riconoscere che la prima impressione è solo “una parte del tutto” e lasciare al candidato più tempo per mostrare sé stesso; il recruiter dovrà fare la sua valutazione solo a seguito del colloquio e non durante.
Bias 4 – Stereotipi o pregiudizi impliciti
Implica l’associazione di determinati tratti di personalità sulla base di informazioni superficiali, con conseguenti conclusioni affrettate. Ad esempio, se il candidato si è laureato presso un’università prestigiosa, il recruiter potrebbe essere portato a pensare che quello sia una persona molto ben formata, più che se si fosse laureata in una piccola università. Eppure potrebbe essere anche l’opposto: un secondo candidato, laureatosi in un’università minore, potrebbe essere per carattere una persona più curiosità e potrebbe avere approfondito da sé i suoi studi, elevando la sua formazione.
Per evitare questo bias, il recruiter dovrebbe porre più domande aperte per capire l’origine di ogni informazione ricevuta dal candidato, in modo da avere più elementi possibili per valutarlo in modo oggettivo e senza una distorsione pregiudicante.
Bias 5 – Effetto framing
È un bias cognitivo che porta a porre le domande al candidato in base alla connotazione positiva o negativa delle proprie convinzioni, illudendosi di avere già a disposizione il quadro completo della situazione. Il recruiter vittima di questo bias pone domande del tipo: “Hai vissuto due anni a Londra, quindi parli bene l’inglese?”. In questo caso, il rischio è che il candidato dica quello che tu vuoi sentire, invece di mostrarsi per quello che è realmente.
Soluzione: come insegna la Domandologia, fare sempre domande aperte: “Quale è il tuo livello di inglese?”
Bias 6 – L’effetto di contrasto
Indica un miglioramento o un peggioramento del giudizio a seguito della precedente esposizione a un candidato di qualità inferiore o superiore, ma con le stesse caratteristiche di base. Si verifica ad esempio quando il recruiter pensa di aver individuato il candidato ideale dopo un colloquio: i colloqui successivi con gli altri candidati non saranno altrettanto entusiasmanti o interessanti, dal momento che lui ha inconsciamente già preso una decisione.
Soluzione: essere consapevoli che ogni persona è differente e merita di essere ascoltata per quello che è, senza essere subito paragonata alle altre. I nostri appunti presi a caldo ci aiuteranno molto in questo.
Bias 7 – Il bias della straordinarietà
Quando si tende a valorizzare maggiormente qualcuno che ha un’abilità o una caratteristica che giudichiamo fuori dalla norma o straordinaria. Ad esempio, un recruiter potrebbe rimanere colpito da un candidato che è stato campione in un certo sport o da uno che ha girato molto il mondo per lavoro, preferendo questi ultimi ad altri potenziali candidati. Ma sono davvero quelle le caratteristiche che sta cercando? Magari sì, ma è importante quanto meno porsi il problema. Quindi è utile per il recruiter fare un elenco delle caratteristiche più importanti che deve cercare in una persona e focalizzare la sua selezione a partire da quelle.
Ogni persona quando sceglie dovrebbe quindi essere consapevole di questi bias cognitivi per evitare di inciamparci. Una soluzione può essere quella di creare un processo di selezione del personale guidato da uno schema che miri a rendere il più oggettivo possibile il giudizio del candidato. È quello che insegnano, d’altronde, gli esperti delle risorse umane. Tuttavia, è sempre fondamentale capire come la nostra mente funziona perché anche la compilazione di uno schema oggettivo deve essere guidato dalla consapevolezza di avere analizzato con meno “bug” possibili le informazioni ricevute durante un colloquio di selezione.