Proprio in tale ambito la Commissione europea con la raccomandazione n.191 del 2010 stabilì che, ove esiste un obbligo di pagamento ciò comporta l’obbligo di accettazione delle banconote da parte del creditore; eccettuato il caso in cui la parti abbiano convenuto mezzi diversi. Un rifiuto al pagamento in contanti – salvo le limitazioni nazionali interne – è possibile solo se motivato dal principio di buona fede (per esempio il commerciante non è in grado di dare il resto, oppure se il valore nominale della banconota è sproporzionato rispetto all’importo dovuto).
In Italia, il limite del denaro contante ha una storia piuttosto tormentata e altalenante, oggetto di ripetute variazioni restrittive finalizzate (per i sopra citati motivi di “ordine pubblico”) a canalizzare, attraverso il sistema degli intermediari finanziari, i trasferimenti di ricchezza. Cosicché dopo una serie di passaggi interminabili, a oggi il quadro di riferimento interno, a legislazione vigente, prevede quale limite all’utilizzo del contante ai sensi dell’art. 49 del D.lgs n.231/2007 la riduzione a 2mila euro dal 1° luglio 2020 e a mille euro dal 1° gennaio 2022. Esistono tuttavia delle eccezioni. Infatti l’art. 3, comma 1 del D.l. n. 16 del 2012 ha stabilito che per le sole persone fisiche di cittadinanza diversa da quella italiana e comunque diversa da quella di uno dei Paesi dell’Unione europea, ovvero dello Spazio economico europeo, che abbiano residenza fuori dal territorio dello Stato italiano, il limite per il trasferimento di denaro contante di cui all’art. 49 comma 1 del D.lgs. 231 del 2007 è elevato a 10mila euro, segnatamente per l’acquisto di beni e di prestazioni di servizi legati al turismo, effettuati presso i soggetti che svolgono attività di commercio al minuto ed assimilate.
Ai sensi del decreto del ministro dell’Economia e delle finanze del 4 agosto 2016, attuativo della predetta disposizione, per fruire della riduzione dei termini decantata il soggetto passivo, esercente attività di impresa, arte o professione, deve esercitare la relativa opzione, con riguardo a ciascun periodo di imposta, nella relativa dichiarazione annuale redatta ai fini delle imposte sui redditi. La mancata comunicazione ripetuta per ciascuna annualità, infatti, comporta per quel esercizio l’inefficacia della riduzione dei termini di accertamento. Affinché sia possibile beneficiare della contrazione dei termini, tuttavia, è necessario emettere esclusivamente fatture elettroniche ovvero, in caso di attività esercitata nei confronti del pubblico, trasmettere telematicamente i dati dei corrispettivi. Secondo il predetto decreto attuativo, infatti, devono risultare soddisfatte entrambe le condizioni previste dall’articolo 1, comma 3, e dall’articolo 2, comma 1, del decreto Legislativo n. 127 del 2015. La riduzione dei termini di accertamento si colloca all’interno di una completa tracciabilità delle operazioni.