Una rilettura delle principali operazioni di mercato degli ultimi anni testimonia come a portare avanti l’attività sia attualmente un gruppo estremamente composito di operatori ripartito tra angel investor e fondi di investimento, banche e loro emanazioni, grandi aziende (tramite divisioni di corporate venture capital) e, in ultimo, lo Stato.
Si può quindi affermare che il venture capital odierno si caratterizzi per aree di investimento più nette su cui insistono figure estremamente diverse tra loro, consapevoli del proprio posizionamento nel percorso che porta dall’early stage al growth. Non a caso, la parte pre-seed e seed, contraddistinta da piccoli tagli di investimento e da esigenze di sviluppo del concept, è divenuta di competenza quasi esclusiva di business angel, ovvero di acceleratori d’impresa, quando invece fino a qualche anno fa in quel segmento si trovava polarizzato grosso modo tutto il settore del venture capital italiano.
La maggiore distribuzione su tutta la filiera dello sviluppo ha inevitabilmente gettato le basi per la nascita di operatori verticalizzati su specifiche industry; il che ha consentito la focalizzazione dell’attenzione sulle fasi più avanzate dello sviluppo imprenditoriale, dov’è richiesto l’intervento di operatori più strutturati come i fondi di investimento regolati, capaci di mettere a disposizione masse significative di denaro e offrire competenze ad alta specializzazione e network internazionali.
Questa circostanza non può che essere interpretata come chiaro indicatore di una maturazione del fenomeno del venture capital all’interno del territorio italiano e di un suo allineamento (quantomeno strutturale) con le esperienze europee più evolute.
Tale considerazione non ci esime tuttavia da una critica. A differenza dei contesti più avanzati, in Italia gli investitori di settore faticano ancora ad accompagnare da soli le startup per tutto il percorso di crescita, motivo per cui si vedono spesso costretti a uscire di scena all’ultimo miglio a favore di operatori internazionali che traguardano l’obiettivo di una “vera exit” attraverso Ipo sui mercati, ovvero importanti trade sale.
Il periodo storico emergenziale sembra che stia offrendo un assist a una più concreta politica di raccolta, “semina” e sviluppo del settore. Ci si auspica che da questo momento azioni sempre più vigorose e concrete vengano attuate per rispondere alla scarsità endemica di capitali e all’assenza di politiche di sistema delle “exit”. Capire come affrontare tale ultimo tema è d’obbligo per tutelare i successi nazionali e per consentire la reintroduzione nel mercato di maggiori liquidità da reinvestire.
Articolo a cura di Andrea Messuti, in collaborazione con Stefano Giannone Codiglione – Lca Studio Legale