Sono passati cinque anni da quando il 15 novembre 2017, il Salvator Mundi,“pièce d’exception” nell’asta “Post-War and Contemporary Art Evening Sale” di Christie’s a New York, veniva battuto per 450 milioni di dollari lasciando il mondo attonito. Soltanto nel 2011 l’opera era stata esposta alla National Gallery a Londra, in occasione della mostra “Leonardo da Vinci: Painter at the Court of Milan”. Da quel momento l’Ultimo Leonardo ha incontrato il disaccordo di molti studiosi circa la sua attribuzione accanto all’entusiasmo di chi invece era impaziente di scoprire un nuovo “sleeper”.
La vendita all’incanto del Salvator Mundi offre svariati spunti di riflessione ma uno degli argomenti più interessanti è quello sulla garanzia di autenticità dell’opera. Occorre premettere che la vendita in asta di opere d’arte viene generalmente qualificata come “offerta al pubblico” ex art. 1336 cc.
Secondo la Corte d’Appello di Roma (Corte App. Roma 17 luglio 1979, in Foro Italiano, 1980, 1, pag. 1447 e ss.), “la casa d’aste “effettua proprio una vendita per conto terzi” così come essa dichiara nei suoi cataloghi, agisce cioè come mandataria senza rappresentanza assumendo gli obblighi relativi al negozio posto in essere. L’attività da essa esplicata è attività giuridica, e più specificatamente attività di venditrice, sia pure per conto terzi. Essa pubblicizza la vendita attraverso la stampa e la diffusione dei cataloghi nei quali indica le caratteristiche dell’oggetto, il valore, il prezzo d’asta, stabilisce in maniera autonoma il giorno della vendita, le modalità di incanto, le «condizioni di vendita», clausole di esonero di responsabilità «oltre quelle sulla qualità di intermediaria», compie le operazioni di incanto, provvede all’aggiudicazione, percepisce il prezzo totale, o esercita la facoltà di domandarne «solo una parte a titolo di caparra », ha facoltà di valutare la «inadempienza» e di rimettere l’oggetto in vendita” è quindi mandataria senza rappresentanza del venditore e soggiace alle norme di cui agli artt. 1705 cod. civ. e s.s.
La vendita all’incanto è regolata dalle condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente dalla casa d’asta, accettate dai partecipanti e di solito riportate nelle ultime pagine del catalogo d’asta. Spesso accade che le condizioni generali di contratto di vendita, come nel caso del Salvator Mundi, prevedono la risoluzione delle situazioni di conflitto che possono nascere quando successivamente alla conclusione della vendita, l’opera d’arte si scopre non autentica. Tali condizioni generali limitano la responsabilità della casa d’asta anche riguardo alla conservazione e all’attribuzione delle opere d’arte, attraverso specifiche clausole che ripartiscono equamente tra acquirente e venditore il “rischio” prevedendo, che entro un definito termine perentorio le parti, osservando una determinata procedura, possano addivenire consensualmente e stragiudizialmente allo scioglimento del contratto con conseguente restituzione rispettivamente del prezzo e dell’opera venduta.
L’ordinamento giuridico italiano oltre a prevedere l’applicazione dell’istituto denominato aliud pro alio, di cui il dies a quo è a tutt’oggi discusso in giurisprudenaza, individua nell’annullamento del contratto per errore ex art. 1429 cod.civ. (sulle qualità della cosa venduta) un ulteriore rimedio alla fattispecie in esame. Per il Salvator Mundi, Christie’s garantiva l’autenticità dell’opera e il relativo rimborso del prezzo qualora, non più tardi di cinque anni dalla data della vendita, l’acquirente avesse dimostrato il contrario. Ora che il tempo è scaduto, ci si domanda che cosa sarebbe accaduto se il proprietario avesse provato la non autenticità dell’opera.
A tal riguardo, è necessario evidenziare un’altra clausola delle suindicate condizioni generali di contratto per cui il rimedio non si applica qualora alla data della vendita, la descrizione dell’opera e quindi l’attribuzione a un determinato autore nel catalogo d’asta o nel contratto mediante trattativa privata sia stato in accordo con il parere generalmente accettato dagli esperti alla data dell’asta o con pareri contraddittori al riguardo, se già esistevano. Si tratta di una clausola (c.d. tesi della communis opinio), presente nelle condizioni generali di contratto della maggiori parte delle case d’aste e che in prima battuta, porterebbe a concludere che l’acquirente avrebbe avuto poco margine di tutela.
Tuttavia, ulteriori riflessioni inducono a ritenere il contrario. Una recente sentenza della Corte d’Appello inglese in data 23 novembre 2020 nel caso Sotheby’s versus Mark Weiss Limited & Ors, ha infatti chiarito che nel valutare la sussistenza o meno delle “opinioni generalmente accettate” occorre esaminare l’importanza e il livello di precisione dell’opinione di studiosi ed esperti dell’opera e che la teoria della communis opinio può avere validità solo in relazione alle opere note, rispetto alla cui paternità si è formata.
Trattandosi, il Salvator Mundi, di un’opera anch’essa solo recentemente emersa sarebbe stato allora opportuno valutare non solo il numero, ma soprattutto l’importanza e il livello di precisione dell’opinione di studiosi ed esperti che si erano pronunciati sulla sua attribuzione. Se questo approfondimento avesse escluso una opinione generalmente condivisa sull’autenticità dell’opera alla data del contratto, l’acquirente avrebbe potuto presentare una richiesta di risoluzione, nei termini previsti dallo stesso, sottoponendo a Christie’s prove al riguardo.