L’effetto dazi — o, più propriamente, il clima generale di avversione al rischio finanziario — non ha risparmiato il Bitcoin. Nell’ultima settimana la criptovaluta è scivolata da quota 87mila a 77.300 dollari (dato aggiornato all’8 aprile), segnando un calo rilevante, ma comunque meno spettacolare rispetto a quanto registrato su altri listini internazionali.
Al momento, gli investitori cripto italiani sembrano adottare un atteggiamento attendista. È quanto emerge dai dati dell’exchange italiano Cryptosmart, che riferisce a We Wealth un andamento dei flussi all’insegna della cautela. Una tendenza confermata anche a livello globale: secondo l’ultimo rapporto di CoinShares, la scorsa settimana gli asset digitali hanno registrato solo lievi deflussi, per un totale di 240 milioni di dollari, in risposta alle recenti notizie sui dazi commerciali statunitensi, che rappresentano un ostacolo per la crescita economica.
James Butterfill, Head of Research di CoinShares, sottolinea che dopo le elezioni statunitensi si era assistito a un forte rialzo del 55% del prezzo del Bitcoin e ad afflussi record di 29 miliardi di dollari negli ETP legati agli asset digitali. Da qui la correzione delle ultime settimane, con deflussi per 6 miliardi, e un calo più contenuto nell’ultima settimana, a testimonianza di una prudenza ancora diffusa, ma di un sentiment meno pessimista rispetto a un mese fa, quando i deflussi settimanali superarono il miliardo di dollari.
Pur non essendo strumenti impiegati negli scambi commerciali di larga scala, le criptovalute risentono comunque del clima macroeconomico. Il Bitcoin, in particolare, ha dimostrato in diversi frangenti una correlazione con i mercati azionari. “Quando emergono incertezze economiche o geopolitiche, o quando gli investitori percepiscono un aumento del rischio, tendono a ritirarsi dagli asset più volatili per rifugiarsi in investimenti più sicuri”, osserva Alessandro Ronchi, fondatore e co-CEO di Cryptosmart. “Questo comportamento evidenzia la correlazione tra mercato azionario e criptovalute, che tende a intensificarsi nei momenti di incertezza”.
Una correlazione confermata anche da Butterfill, che tuttavia ne precisa i limiti. A suo avviso, le criptovalute hanno reagito meglio del mercato azionario, ma hanno comunque subito un calo. La correlazione tra Bitcoin e Nasdaq è attualmente attorno al 45%, ben sotto il picco del 72% raggiunto nel 2022, ma ancora elevata. Nell’ultima settimana, tuttavia, la correlazione si è ridotta, con la volatilità annualizzata a 30 giorni che si attesta al 40%. Secondo Butterfill, questo calo riflette le crescenti preoccupazioni degli investitori per uno scenario di stagflazione, in cui la debolezza della crescita economica si accompagna all’inflazione causata anche dall’introduzione dei dazi.
Secondo André Dragosch, Head of Research per l’Europa di Bitwise, la recente correzione ha modificato significativamente la struttura di mercato del Bitcoin. A suo giudizio, con un prezzo attuale intorno ai 75.000 dollari, è evidente che il posizionamento degli investitori era fortemente concentrato nella fascia compresa tra i 78.000 e gli 82.000 dollari, livelli che sono stati ora drasticamente superati. Il brusco movimento al ribasso riflette una combinazione di liquidazioni a cascata e deterioramento del sentiment, non solo sulle criptovalute ma su tutti gli asset a rischio. Dragosch evidenzia anche che l’attuale mappa delle liquidazioni non mostra più significativi cluster di liquidità in prossimità dei prezzi attuali, il che suggerisce che la maggior parte delle posizioni a leva sia già stata espulsa dal mercato.
Come già osservato, il Bitcoin non è direttamente legato né al commercio globale né alla centralità del dollaro. In un contesto di potenziale de-dollarizzazione — accelerata anche dalla perdita di consenso politico degli Stati Uniti — molti osservatori iniziano a considerare il Bitcoin come possibile riserva valutaria. “Il ritorno della guerra dei dazi riattiva il caso di investimento principale per il Bitcoin, ovvero quello di moneta non sovrana”, spiega Dragosch. Aggiunge che storicamente i rallentamenti economici indotti dai dazi, anche se non innescano nuova inflazione, offrono alle banche centrali margini per adottare politiche monetarie più accomodanti, e il Bitcoin tende ad anticipare questi scenari.
Butterfill approfondisce ulteriormente la questione, ricordando che il dominio del dollaro come valuta di riserva mondiale sta affrontando crescenti sfide. Secondo i dati del Fmi, la quota di dollari nelle riserve globali è scesa dal 71% nel 2000 al 59% nel 2022. Alcuni Paesi come Cina e Russia stanno già evitando l’uso del dollaro negli scambi commerciali, mentre i BRICS valutano l’introduzione di una nuova valuta per i pagamenti interni, con alcune ipotesi che includono anche il Bitcoin. Strutture alternative come il sistema cinese CIPS (Cross-Border Interbank Payment System) o lo SPFS russo si stanno affiancando al circuito SWIFT, e tecnologie come la blockchain offrono strumenti per ridurre la dipendenza dal dollaro. In parallelo, gli Stati Uniti devono far fronte a crescenti pressioni fiscali: nel 2024 il deficit federale ha toccato i 1.833 miliardi di dollari e le agenzie di rating hanno lanciato avvertimenti sulla stabilità fiscale. Il timore è che, in questo scenario, la fiducia globale nel dollaro possa vacillare.
Ronchi osserva che, per quanto questi temi possano sembrare distanti dalla realtà quotidiana del mercato cripto, potrebbero avere un impatto rilevante nel lungo periodo. Cita, ad esempio, la recente scelta del governo americano di consolidare le riserve in Bitcoin, definendola una chiara dimostrazione di diversificazione. Una volta sarebbe sembrata un’eresia, osserva, ma oggi anche le banche centrali potrebbero iniziare a considerare il Bitcoin per le stesse ragioni per cui lo hanno apprezzato per anni i cosiddetti massimalisti: offerta limitata, indipendenza geopolitica, potenziale di diversificazione strutturale.
Lo stimolo monetario: la speranza anche per Bitcoin
Guardando al breve periodo, il prossimo impulso rialzista potrebbe arrivare nel caso in cui le banche centrali dovessero tornare a un orientamento espansivo, come accaduto dopo la pandemia. Secondo Dragosch, qualsiasi misura di stimolo per contenere il rallentamento potrebbe alimentare una maggiore liquidità, che storicamente favorisce l’aumento dei prezzi degli asset rischiosi. Se si dovesse entrare in un nuovo ciclo di allentamento — coordinato o parallelo — la conseguente diluizione del valore delle valute fiat potrebbe rafforzare la domanda di strumenti alternativi come il Bitcoin.
Resta però un’incognita il comportamento della Federal Reserve, che dovrà bilanciare il rischio di recessione con le possibili pressioni inflazionistiche legate ai dazi. Non è ancora chiaro se la banca centrale americana, come auspicato da Donald Trump e da parte del mercato, sarà disposta a tagliare i tassi nei prossimi mesi. Ma la direzione delle politiche monetarie globali, ancora una volta, potrebbe rivelarsi decisiva anche per il destino delle criptovalute.