L’imposta di successione è un tributo che si applica al trasferimento di beni e diritti a seguito della morte di una persona. In Italia, rispetto ad altri Paesi europei, tale imposta è tra le meno gravose, come vedremo più nel dettaglio. La normativa prevede infatti franchigie ampie, aliquote contenute e diverse esenzioni, soprattutto quando l’eredità riguarda figli e coniuge. Inoltre, al momento è possibile approfittare delle donazioni in vita per sfruttare due distinte franchigie che, messe assieme, possono portare per ciascun erede diretto a escludere dall’imposta fino a 2 miliardi di euro.
A disciplinare la materia è principalmente il D.Lgs. 346/1990 (Testo Unico delle Successioni – Tus), che è stato recentemente aggiornato con il D.Lgs. n. 139/2024, in vigore dal 3 ottobre 2024.
Lo scopo dell’imposta non è solo fiscale, ma anche redistributivo, agendo come correttivo alla concentrazione della ricchezza. Tuttavia, in Italia l’impatto politico di un possibile inasprimento della tassazione sulle successioni ha spesso frenato ogni tentativo di inasprimento, mantenendo l’imposizione tra le più leggere a livello Ocse.
Come si calcola l’imposta di successione?
Il calcolo dell’imposta di successione si basa sul valore dell’attivo ereditario netto (beni e diritti al netto di debiti e oneri deducibili) e sul grado di parentela con il defunto. Le aliquote attualmente previste sono:
- 4% per coniuge e parenti in linea retta, con franchigia di 1 milione di euro per beneficiario;
- 6% per fratelli e sorelle, con franchigia di 100.000 euro;
- 6% per altri parenti fino al quarto grado e affini fino al terzo grado, senza franchigia;
- 8% per tutti gli altri soggetti, senza franchigia.
La novità più rilevante, intervenuta recentemente, riguarda la separazione delle franchigie tra donazione e successione: non sono più cumulate, ma distinte. In pratica, si possono trasferire fino a due milioni di euro a ciascun figlio – un milione tramite donazione in vita e un altro milione in successione – senza incorrere in imposte. Un cambiamento interpretativo che, pur non modificando la legge, ha un impatto pratico molto significativo.
La dichiarazione di successione
La dichiarazione di successione deve essere presentata entro 12 mesi dalla data del decesso, a cura degli eredi, dei legatari o dei loro rappresentanti legali. Si tratta di un atto formale attraverso cui l’Agenzia delle Entrate viene informata della trasmissione del patrimonio e calcola l’eventuale imposta dovuta.
Sono obbligati a presentare la dichiarazione:
- gli eredi;
- i chiamati all’eredità che hanno effettuato atti che implicano accettazione tacita;
- i legatari;
- i rappresentanti legali degli eredi o dei legatari.
Sono invece esonerati dall’obbligo di presentazione i casi in cui:
- l’eredità non comprende beni immobili o diritti reali immobiliari;
- il valore dell’eredità non supera i 100.000 euro;
- vi è un solo erede o legatario.
Riforma dell’Imposta di Successione (2024-2025)
Con il D.Lgs. n. 139/2024, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2024, il governo ha avviato una riforma della fiscalità successoria e donativa, introducendo importanti novità per i trasferimenti di aziende e partecipazioni societarie.
L’intento dichiarato è quello di agevolare il passaggio generazionale, evitando che l’imposizione fiscale ostacoli la continuità delle imprese familiari. Le modifiche riguardano in particolare l’art. 3, co. 4-ter del Tus, ampliando e chiarendo il perimetro delle esenzioni.
Le principali novità introdotte dal decreto:
- Distinzione tra trasferimento di azienda e partecipazioni societarie: nel primo caso, per godere dell’esenzione è necessaria la prosecuzione dell’attività d’impresa per almeno cinque anni; nel secondo caso, è sufficiente mantenere il controllo della società per lo stesso periodo.
- L’esenzione è valida anche se il controllo è solo integrato, e non acquisito ex novo – contrariamente a quanto sostenuto finora dall’Agenzia delle Entrate.
- Superamento della giurisprudenza restrittiva: viene meno l’obbligo che la società posseduta eserciti attività d’impresa per fruire dell’esenzione, aprendo all’applicabilità anche alle società “senza impresa”, come le holding o le società immobiliari.
- Estensione alle “altre quote sociali”: vengono incluse anche le società semplici, finora escluse dall’agevolazione, purché gli eredi mantengano la titolarità per almeno cinque anni.
- Apertura ai trasferimenti transfrontalieri: le agevolazioni si applicano anche alle partecipazioni in società residenti in Stati Ue/See o in Paesi con accordi di scambio di informazioni, recependo l’orientamento della Cassazione e dell’Agenzia.
La riforma segna un cambio di passo che va nella direzione di maggiore certezza giuridica e più ampio accesso alle esenzioni, con effetti positivi sulla mobilità del capitale all’interno dei nuclei familiari imprenditoriali.
Donazione in vita e franchigie
La distinzione tra franchigie per donazioni e successioni è uno degli aspetti più rivoluzionari introdotti negli ultimi mesi, sebbene non formalmente dal decreto, bensì da un’interpretazione aggiornata dell’Agenzia delle Entrate, pubblicata nell’ottobre 2024.
Fino a quel momento, le donazioni effettuate in vita venivano cumulative rispetto alle eredità: se un genitore donava 500.000 euro al figlio, questi aveva solo altri 500.000 euro esenti in successione. Oggi, invece, le due franchigie si sommano, portando a 2 milioni di euro esenti da imposta per ciascun figlio (1 milione in donazione + 1 milione in successione).
Le conseguenze pratiche sono rilevanti:
- Risparmio fino a 40.000 euro per figlio (il 4% su 1 milione in più esente);
- Ottimizzazione della pianificazione patrimoniale;
- Vantaggi ancora più evidenti per i patrimoni elevati, che possono distribuire la ricchezza in vita in modo più strategico.
Per fratelli e sorelle, la franchigia rimane fissata a 100.000 euro, con un’aliquota al 6%, permettendo comunque un risparmio potenziale di 6.000 euro per persona.
Pianificazione successoria per ridurre la tassazione
Con il nuovo scenario normativo, la pianificazione successoria assume un ruolo ancora più centrale nella gestione patrimoniale. Strumenti come le donazioni in vita, le polizze vita e i titoli di Stato diventano leve fondamentali per proteggere il patrimonio dagli effetti erosivi delle imposte.
1. Polizze Vita
Le polizze vita godono dell’esenzione dall’imposta di successione, poiché i capitali maturati al decesso dell’assicurato non rientrano nell’asse ereditario. Inoltre, possono essere intestate direttamente ai beneficiari, garantendo velocità e certezza nel trasferimento del capitale.
2. Titoli di Stato
I titoli di Stato italiani (Btp, Bot, ecc.), ma anche quelli emessi da Paesi nella white list, sono esenti dall’imposta di successione. Questa caratteristica li rende particolarmente appetibili per chi desidera trasmettere ricchezza con efficienza fiscale, pur a fronte di rendimenti generalmente contenuti.
3. Donazione della nuda proprietà
Per quanto riguarda gli immobili, è possibile donare la nuda proprietà, mantenendo per sé l’usufrutto. In questo modo il valore fiscale del bene è scontato rispetto al valore pieno, permettendo un utilizzo più efficace della franchigia. “Si tratta di uno strumento utile anche per creare dialogo e fiducia intergenerazionale”, ha sottolineato a We Wealth Mario Fumei, private banker di Fineco.
L’imposta di successione: l’Italia e gli altri Paesi
Il confronto con l’estero è illuminante. Secondo l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, nel 2022 il gettito dell’imposta di successione e donazione in Italia si è fermato a 1,043 miliardi di euro, una cifra modesta rispetto agli altri Paesi europei:
- Francia: 18,6 miliardi di euro (2021)
- Germania: 9,8 miliardi
- Regno Unito: 7 miliardi
- Spagna: 3,5 miliardi
La differenza non è solo quantitativa, ma strutturale. In Francia, le aliquote possono arrivare oltre il 50%, e le franchigie sono decisamente più basse. Anche in Germania e Regno Unito, la tassazione è più incisiva, sebbene accompagnata da meccanismi di deduzione e differimento che ne mitigano in parte l’impatto. La pianificazione successoria resta importante anche se in Italia si paga nettamente meno rispetto agli altri grandi Paesi europei. Anzi, forse proprio per questo: non si può affatto escludere che l’Italia possa avvicinare le sue aliquote a quelle delle altre economie europee.