- L’S&P 500 ha archiviato la seduta di venerdì scorso in forte rialzo (+1,70%) sfondando il tetto dei 5.700 punti, mentre il Dow Jones progrediva del +1,26% sopra i 42mila punti
- Storicamente il listino americano ha registrato un rendimento medio del +4,9% a un anno dal primo taglio ai tassi. Evidenziati rendimenti positivi nel 70% dei casi
A inizio anno le attese ruotavano intorno a sette sforbiciate ai tassi di interesse firmate Federal Reserve. Poi, le aspettative in termini di tempistiche si sono allungate all’infinito. Fino al verdetto di Jerome Powell, in occasione della riunione del 18 settembre: via al primo taglio al costo del denaro dopo una lunga stretta monetaria iniziata a marzo 2022. Un taglio da 50 punti base, che ha centrato le attese delle ultime ore prima dell’annuncio e ha spinto Wall Street verso nuovi record. L’S&P 500 ha archiviato la seduta di venerdì scorso in forte rialzo (+1,70%) sfondando il tetto dei 5.700 punti, mentre il Dow Jones progrediva del +1,26% sopra i 42mila punti. E adesso?
Innanzitutto, va detto che sebbene i rendimenti dell’S&P 500 siano tendenzialmente positivi dopo i cicli di tagli dei tassi di interesse, lo scenario attuale è uno scenario inusuale per le aziende americane. Come ricordato da Visual Capitalist in una nuova analisi, molti prestiti dovranno essere rinnovati nel 2025. E alcuni settori, come quello manifatturiero, potrebbero essere più esposti ai rischi di rifinanziamento. Fatta questa premessa, tenendo conto che le performance passate non sono una garanzia di performance future, può tornare utile guardare alla storia per capire come ha reagito il mercato a stelle e strisce in occasione dei precedenti ritocchi al costo del denaro.
Wall Street dopo i tagli: cosa dice la storia
Visual Capitalist ha analizzato in particolare le performance dell’S&P 500 dal 1973 al 2019, sulla base dei dati di PinPoint Macro Analytics. Quello che è emerso, osservando gli ultimi cinque decenni, è che storicamente il listino americano ha registrato un rendimento medio del +4,9% a un anno dal primo taglio ai tassi di interesse. In quest’arco temporale, si evidenziano rendimenti positivi nel 70% dei casi: nel 1974 fu del +7,5%, nel 1980 del +30,3%, nel 1982 del +36,5%, nel 1984 del +10,5%, nel 1987 del +7,5%, nel 1989 del +11,9%, nel 1995 del +13,4%, nel 2001 del +27,3% e infine nel 2019 del +14,5%. Nei tre mesi successivi al calo dei tassi di interesse, in gran parte dei casi il mercato tende a scendere, per poi rimbalzare entro il semestre. Un riflesso dell’idea diffusa secondo cui i tassi di interesse più bassi stimolano l’attività economica, riducendo i costi di finanziamento per aziende e consumatori e favorendo di conseguenza il mercato azionario.
Fonte: Visual Capitalist sui dati PinPoint Macro Analytics
Perché guardare all’andamento degli utili
Certo, come si nota dalla tabella, le performance del listino statunitense possono variare in modo significativo da una rilevazione all’altra. A titolo esemplificativo, le azioni di Wall Street hanno incassato contrazioni a due cifre dopo i primi tagli dei tassi nel 1973 (-36%), nel 1981 (-17,8%), nel 2001 (-14,9%) e nel 2007 (-27,2%). Allo stesso modo, a sei mesi dal taglio, non sono mancati anni di bruschi crolli in Borsa, come il 1974 (-15,3%), il 2001 (-12,4%) o il 2007 (-11,8%). In altre parole, chiarisce Visual Capitalist, l’evoluzione dei tassi di interesse racconta soltanto una parte della storia. Un indicatore più affidabile delle performance dell’S&P 500 è invece l’andamento degli utili: quando la crescita degli utili è positiva, il mercato registra infatti un rendimento medio del 14% l’anno successivo. Viceversa, quando gli utili scendono in una fase di calo dei tassi di interesse, l’S&P 500 cresce in media del 7%.