La controversia (che ha portato la Cassazione a pronunciarsi con la sentenza n. 34858/2023) ha a oggetto il contratto di donazione di alcune quote sociali da parte di un fratello (donante) – malato terminale – in favore della sorella (donataria), la cui efficacia veniva subordinata alla premorienza dello stesso fratello donante.
Al decesso del donante, il padre di quest’ultimo e della donataria, chiedendo di essere riconosciuto unico erede del figlio premorto, contestava la donazione formalizzata nei termini suddetti, asserendo che la stessa – in ragione della gravissima e irreversibile malattia del figlio – dovesse considerarsi come una donazione mortis causa (nulla in Italia) e non, invece, come una donazione “si praemoriar” (ritenuta valida nell’ordinamento giuridico italiano).
Donazione mortis causa e divieto dei patti successori
In particolare, la donazione mortis causa è quella in cui la morte del donante è la causa del trasferimento dei beni oggetto di donazione, sicché nessun effetto giuridico si produce prima dell’apertura della successione del donante.
La donazione mortis causa è unanimemente assimilata a un patto successorio istitutivo con cui si dispone della propria successione ed è, pertanto, vietata ai sensi dell’art. 458 del codice civile, in ragione del principio secondo il quale le fonti della delazione ereditaria possono essere soltanto la legge o il testamento (e non i contratti perché, essendo soggetti all’ordinario principio di irrevocabilità, si pongono in contrasto con il principio della libertà testamentaria, ai sensi del quale il testatore ha il diritto di revocare le disposizioni contenute nel testamento fino all’ultimo istante della sua vita).
La donazione “si praemoriar” e la sua ammissibilità
Viceversa, la donazione “si praemoriar” è quella che subordina l’efficacia del trasferimento del bene oggetto di donazione al verificarsi della premorienza del donante. Tale figura è ritenuta ammissibile dalla dottrina e dalla giurisprudenza maggioritarie poiché, con essa, il donante dispone del bene immediatamente in favore del donatario (tanto che quest’ultimo è legittimato a compiere atti conservativi del bene e, addirittura, a disporre di esso), ancorché l’attribuzione del bene donato divenga definitiva alla morte del donante; e ciò grazie al fatto che, al verificarsi del decesso di quest’ultimo, gli effetti del negozio posto in essere retroagiscono automaticamente alla data di stipulazione del contratto.
La posizione del padre del donante
Nel caso di specie, il padre del donante sosteneva che quest’ultimo aveva voluto disporre della propria futura successione con un contratto di donazione il cui scopo era soltanto quello di eludere il divieto dei patti successori, stante la piena consapevolezza che gli sarebbero rimasti pochi mesi di vita e che la premorienza alla sorella (donataria) era ormai certa.
La sentenza 34858/2023 della Cassazione
A fronte di tali doglianze, i giudici di legittimità rispondono che, per determinare se il negozio posto in essere dalle parti rientra effettivamente tra le donazioni mortis causa (vietate) ovvero tra le donazioni “si praemoriar” (considerate ammissibili), si deve procedere a un’analisi del contenuto del negozio, al fine di individuare la reale volontà delle parti al riguardo.
Dunque, all’esito dell’esame della donazione controversa, è stato respinto il ricorso del padre, ritenendosi di essere in presenza di un legittimo contratto di donazione “si praemoriar” per due ordini di motivi.
Conclusione: i motivi della legittimità della donazione “si praemoriar”
Innanzitutto, per la Suprema Corte, la condizione sospensiva della premorienza del donante riguardava, comunque, un evento futuro e incerto nonostante la malattia all’ultimo stadio del donante, non potendosi escludere una premorienza del donatario al donante per cause accidentali e impreviste, con conseguente non avveramento della condizione sospensiva a cui veniva subordinata la donazione e relativa inefficacia della donazione stessa.
In secondo luogo, l’analisi delle disposizioni contenute nel contratto di donazione esaminato portava a escludere che la morte del donante fosse la causa dell’attribuzione delle quote sociali alla sorella donataria, poiché emergevano tre aspetti:
- la consapevolezza delle parti circa l’appartenenza del bene donato (non alla massa ereditaria futura del donante, bensì) al patrimonio attuale del donante;
- la volontà delle parti di assicurare (non un trasferimento che aveva nella morte del donante la sua ragione d’essere, bensì) il trasferimento delle quote in capo alla donataria con effetti parzialmente anticipati rispetto alla morte del donante, cercando fin da subito di orientare gli eventi del complesso aziendale nella direzione desiderata;
- infine, l’assenza di poteri dispositivi in capo al donante, con conseguente irrevocabilità della donazione e sorgere (non di una mera aspettativa di fatto, quale quella dell’erede prima della morte del de cuius, bensì) di un’aspettativa del donatario legalmente tutelata, come normalmente accade nei contratti sottoposti a condizione sospensiva.