Del recovery fund si è detto molto, ma forse non che la sua forza rivoluzionaria sta nell’avere cambiato totalmente la prospettiva del supporto Ue – Stati membri. Lo sottolinea Marco Buti, capo di gabinetto del commissario europeo agli Affari economici
Paolo Gentiloni durante l’evento “Recovery plan, pnrr: sfide e opportunità per il sistema-Italia” organizzato dal gruppo Sole24Ore. Con il recovery plan «si passa da una logica di input a una di output». Ovvero in passato «il pagamento avveniva a piè di lista, ora invece ci sono degli obiettivi intermedi (
milestones) e finali (target) da rispettare». Questo comporta una comunicazione costante con l’Ue durante tutto il periodo di durata del piano. La parola “comunicazione” ricorda al funzionario un’altra piccola rivoluzione, compiutasi il 28 aprile: Germania e Grecia hanno presentato i rispettivi piani nella stessa giornata, e il comunicato europeo è stato congiunto
Secondo il funzionario, il rispetto degli obiettivi del Pnrr è una «sfida da far tremare i polsi» dato che il 70% delle risorse deve esser impegnato entro il 2022. Il restante 30% «deve essere impegnato entro il 2023. Poi bisogna spendere tutto entro il 2026». Mancare uno solo degli obiettivi intermedi del piano comporterebbe la perdita dei fondi. Il primo 13% dei 240 miliardi del pnrr dovrebbe arrivare entro luglio, dopo l’approvazione del piano da parte del Consiglio europeo. Dopo la presentazione infatti la Commissione ha otto settimane di tempo per presentarlo al Consiglio, che ha a sua volta quattro settimane per il via libera finale. Poi però «ogni sei mesi ci sarà il controllo sul rispetto degli obiettivi intermedi e finali. È chiaro che bisogna rispettare i tempi indicati per avere i trasferimenti dal bilancio europeo».
Lucas Guttenberg, ricercatore senior e vicecapo della ricerca al Jacques Delors Institut di Berlino, aggiunge che «la percezione di ciò che ha fatto Mario Draghi negli ultimi mesi è molto positiva qui a Berlino. Tutti i paesi si stanno impegnando molto bene perché il piano sia un successo». Si arriverà quindi a una politica fiscale comune?, chiede Fabio Tamburini. «Si, e direi che il recovery fund è il primo vero passo nei confronti di quell’obiettivo».
La finanza induce comportamenti che possono essere virtuosi, rammenta Silvia Merler, head of esg and policy research, Algebris Investments. «Il recovery, con i suoi obiettivi di sostenibilità, interviene sulla bassa crescita strutturale dell’Italia. È un programma di lungo periodo, per cui contano i risultati, non le risorse immesse. Certo, resta il rischio-paese dovuto alla nostra volatilità politica».
Il professor Carlo Cottarelli (Università Bocconi e Università Cattolica) vede una debolezza nel piano, «dato che è poco focalizzato sulle imprese». Inoltre, «riforme come quelle di Pa, giustizia, concorrenza non si fanno in sei mesi. Siamo di fronte a una valanga di finanza pubblica, ma la guida del piano devono prenderla le riforme. Il fatto che dietro a questi piani ci sia l’opinione pubblica, li indebolisce». Giulio Sapelli, professore di storia economica all’Università Statale di Milano, aggiunge che «il recovery fund un è tentativo in itinere straordinario, ma da costruire. Occorrono più vigore e libertà di azione per le nostre pmi. Gli artigiani e i piccoli imprenditori non sono lobby. Ma dobbiamo capire che grazie a loro possiamo avere un tasso di crescita superiore al nostro tasso di indebitamento».
Fra i cauti, figura anche Giulio Tremonti, ora presidente di Aspen Institute Italia. «Ora sembra che i soldi piovano dal cielo, ma non è così. Il governo scommette sull’effetto moltiplicatore del pil, dando per scontato che si tratti di “debito buono”. Speriamo che sia così. Anche se, quando il debito è eccessivo, c’è sempre il rischio che si tratti di debito e basta».
Veronica De Romanis, docente di European cconomics, Università LUISS Guido Carli Roma ritiene invece che il Next Generation Eu sia «un treno che passa ora, una opportunità imperdibile. Si tratta di un banco di prova per la maturazione e la sensibilità della nostra classe politica che da vent’anni ha condotto il nostro paese al declino a causa di visione corta e politiche una tantum. Con i fondi del recovery ogni paese dovrà mettere in pratica le raccomandazioni che vengono fatte ogni anno, come ad esempio quella di aumentare il tasso di occupazione femminile per cui l’Italia è agli ultimi posti in Europa».
Come ammonisce Niccolò Abriani, partner del dipartimento corporate DLA Piper, «occorre davvero passare «dalle parole ai fatti perché il paese possa “infuturarsi”, come scrive Dante».
Del recovery fund si è detto molto, ma forse non che la sua forza rivoluzionaria sta nell’avere cambiato totalmente la prospettiva del supporto Ue – Stati membri. Lo sottolinea Marco Buti, capo di gabinetto del commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni durante l’evento “Recovery plan…