A fine 2022 il 48% di tutte le posizioni “entry level” nelle società di private equity era ricoperto da donne. Una quota che scivola al 20% per le ceo
Gli uomini che rivestono un ruolo nei comitati di investimento hanno in media il 50% di probabilità in più di essere promossi rispetto alle colleghe
Nel 2021 le società di private equity guidate da donne e minoranze etniche e razziali gestivano appena il 6% degli aum totali del settore
La diversity entra nelle strategie dei grandi investitori. Secondo una nuova analisi di McKinsey, gli istituzionali cercano sempre più dati sull’uguaglianza di genere nei team di investimento dei fondi di private equity, oltre che nelle società in portafoglio; ma si scontrano con un deciso ritardo, specie nei ruoli dirigenziali.
L’indagine, condotta a livello globale su 66 società di private equity e investitori istituzionali che gestiscono rispettivamente oltre 6mila miliardi e 5mila miliardi di dollari di asset, a fine 2022 il 48% di tutte le posizioni “entry level” (ovvero i livelli più bassi della struttura di carriera) era ricoperto da donne. Una quota che scivola al 20% se si parla invece delle posizioni leadership, in particolare delle amministratrici delegate. Disaggregando i dati in ruoli di investimento, ruoli operativi e altri ruoli non di investimento, si scopre come le donne ricoprano solo il 33% dei ruoli di investimento entry level, rispetto al 44% dei ruoli operativi e al 59% dei ruoli non di investimento. Certo, qualche passo in avanti c’è stato. Se si guarda ai ruoli di investimento nella c-suite (termine che indica le cariche più alte all’interno della società che solitamente iniziano con la lettera “c”, come chief executive officer, chief financial officer, chief operating officer e chief information officer, ndr), la percentuale al femminile è cresciuta di 3,5 punti nell’ultimo anno, raggiungendo il 17% lo scorso dicembre.
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“I progressi sono generalmente motivo di ottimismo ma, se il ritmo non accelera, il percorso verso la parità di genere nel settore sarà lungo”, avvertono tuttavia gli analisti. All’andamento attuale, infatti, per raggiungere l’uguaglianza nei ruoli di investimento a livello di managing director (indicato nel grafico con “L2”) ci vorranno più di sei decenni. Allo stesso modo, per raggiungere la parità di genere a livello di amministratore delegato (“L3”) ci vorranno più di tre decenni. “Sebbene questi numeri siano sconfortanti, le prospettive sono decisamente più rosee per quanto riguarda l’entry level”, rassicurano dalla società di consulenza globale, evidenziando come in questo caso sarebbe sufficiente un decennio per azzerare i gap.
Tra l’altro, le donne si trovano ad affrontare un percorso più lungo per raggiungere gli stessi traguardi dei colleghi. Gli uomini che rivestono un ruolo nei comitati di investimento hanno in media il 50% di probabilità in più di essere promossi rispetto alle donne, una tendenza che persiste a tutti i livelli. Le minoranze etniche e razziali, dal canto proprio, non risultano meglio rappresentate. In questo caso, l’indagine di McKinsey si limita ad analizzare Stati Uniti e Canada, mostrando come tali minoranze rappresentino solo il 20% dei professionisti degli investimenti a livello di amministratore delegato. Eppure, come dichiarato da un responsabile delle risorse umane di una società di private equity di medie dimensioni con sede nel Nord America, i dati sulla diversity rappresentano “una quota standard del questionario di due diligence al giorno d’oggi”.
Diversity: cosa cercano i grandi investitori
Gli investitori istituzionali, come anticipato in apertura, chiedono tra l’altro sempre più spesso informazioni su diversità, equità e inclusione alle società di private equity. C’è chi tiene traccia dei progressi annuali in questa direzione e chi, più lungimirante, ha iniziato a fissare soglie minime su determinati fattori che ruotano intorno alla diversity. Il problema però, si legge nel rapporto, è che le loro asset allocation non sono sempre coerenti con le priorità dichiarate. Nel 2021 le società di private equity guidate da donne e minoranze etniche e razziali gestivano appena il 6% degli aum totali del settore. Una delle ragioni, a titolo esemplificativo, è che tali società sono mediamente più piccole e più recenti rispetto alle loro concorrenti e, di conseguenza, meno attraenti per gli istituzionali.
Come colmare i gender gap del private equity
Ad ogni modo, secondo McKinsey, ci sono alcune pratiche che le società di private equity potrebbero implementare per colmare i divari ancora esistenti:
- analizzare i tassi di abbandono e di promozione in base al genere, all’etnia e alla razza, per far luce sull’efficacia delle aziende nel trattenere e promuovere talenti diversi;
- sviluppare programmi di sponsorship e mentorship che possano guidare i talenti;
- implementare politiche hr più flessibili, come il lavoro a distanza, per allargare la rete dei talenti e migliorare l’inclusione dei professionisti provenienti da contesti diversi;
- organizzare corsi di formazione sui pregiudizi inconsci per ridurne al minimo l’impatto sui processi decisionali;
- e creare infine percorsi di ingresso e uscita per i dipendenti durante la transizione da e verso il congedo parentale o il prolungamento dell’aspettativa.
“Queste iniziative vanno oltre il reclutamento e sono fondamentali per costruire un ambiente inclusivo che non solo accolga i membri di un team eterogeneo, ma che consenta loro di prosperare e di scalare i ranghi”, concludono i ricercatori. “Impegnandosi in queste pratiche, le società di private equity possono alimentare la diversità in tutte le loro organizzazioni, dai livelli iniziali ai vertici”.