In questo modo l’Agenzia delle entrate ha affermato il principio in base al quale, fra le polizze vita qualificabili per un trattamento fiscale favorevole – si tratta di fatto di quelle di cui ai rami I, III e V secondo la definizione del Codice delle assicurazioni private – solo le prestazioni connesse al rischio demografico garantiscono il beneficio fiscale dell’esenzione.
C’è da aggiungere, inoltre, che, salvo il caso di polizze vita che prevedono l’erogazione di una rendita vitalizia, il momento impositivo si identifica nel periodo di imposta in cui è corrisposto il capitale a scadenza, determinando un ulteriore vantaggio consistente nel differimento della tassazione.
E ai fini dell’imposta di successione, secondo le previsioni contenute nell’art. 12 D.lgs. 364/90, le polizze vita sono escluse dall’attivo ereditario, in quanto somme spettanti di diritto agli eredi. Per tali ragioni sono frequentemente utilizzate nell’ambito di protezione patrimoniale e pianificazioni successorie.
Negli ultimi anni, però, un susseguirsi di pronunce giurisprudenziali ha gettato un’ombra sulla certezza dei benefici legati alle polizze vita, facendo nascere una preoccupazione anche in materia fiscale, nel timore di perdere i benefici derivanti dalle polizze vita, specialmente in ambito successorio.
I giudici, nell’esaminare le condizioni contrattuali sottoposte al loro vaglio, hanno, infatti, riqualificato talune polizze vita di tipo misto in meri investimenti finanziari ritenendo che il peso della componente finanziaria di tali contratti potesse metterne in discussione la natura assicurativa. Quali sono allora i requisiti per configurare tali contratti come polizze assicurative e non come strumenti finanziari di investimento? E quelli per evitare conseguenze fiscali pregiudizievoli?
Secondo la giurisprudenza dominante, le principali variabili da tenere in considerazione al fine di scongiurare la riqualificazione della polizza in investimento finanziario sono: i) la previsione di una prestazione certa e concreta al verificarsi dell’evento demografico; ii) la garanzia all’assicurato di un rientro del capitale investito; iii) l’esclusione del rischio finanziario in capo all’assicurato.
Sotto il profilo fiscale si segnala tuttavia la totale assenza di norme che impongono di rispettare un livello minimo di rischio demografico o di garantire la restituzione del capitale. Comunque, pur restando controverso in dottrina se l’eventuale riqualificazione possa davvero comprometterne i benefici fiscali, risulta necessario valutare singolarmente ciascun contratto al fine di evidenziare la presenza di potenziali rischi, soprattutto con riguardo al tema successorio.