La nuova pelle di New York

“Proprio mentre Lehman Brothers crollava, io inauguravo la mia mostra antologica su Giorgio Morandi”, ci racconta Renato Miracco, ex direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di New York, in un pomeriggio di inizio anno. “Il suo minimalismo rappresentava un modo nuovo di vedere le cose”, e forse la concomitanza con quei drammatici momenti storici non era casuale. Passarono circa sette anni, e la crisi poté dirsi superata. Oggi, c’è un nuovo stravolgimento, più profondo: ha a che fare con le radici culturali del Paese. E New York ne è indice: “Le grandi istituzioni, come il MET, stanno rivisitando le loro collezioni a favore di nuove istanze, nuove urgenze culturali e sociali. È questo il futuro, ci siamo dentro. È in corso una rivoluzione".
"E come accade durante le rivoluzioni, ci sono aspetti, protagonisti del nuovo mondo che vengono sacrificati, almeno momentaneamente. A Washington per esempio, ricordo che nel 2021 la National Gallery of Art ha annullato la tanto attesa mostra sulla pittura genovese A Superb Baroque: Art in Genoa, 1600-1750, con la scusante della pandemia. Ma ne sta organizzando una sulla schiavitù in Brasile”. Forse l’arte della città d’origine di Cristoforo Colombo non era la scelta ideale, di questi tempi. “Sono convinto che fra qualche anno ci saranno nuovi rimescolamenti, ma adesso non possiamo avere una serena capacità di giudizio. L’America è il posto della memoria, può capitare che nella memoria vi siano degli slittamenti. In ogni caso, le statue degli schiavisti vanno abbattute”.
Renato Miracco
Dal suo osservatorio privilegiato, Renato Miracco non vuole “rassicurare nessuno: New York è una città in fermento”. Non è più la città in un certo senso romantica della Rhapsody in Blue di Gershwin, o del primo Woody Allen? “No. Quella New York ha cambiato, sta cambiando pelle. Bisogna adottare nuove prospettive di visione, altri punti di vista, non statici. Siamo proprio sulla cresta dell’onda del cambiamento, dobbiamo imparare a surfare per non soccombere. Il movimento Black lives matter spinge l’attenzione verso un tipo di arte finora non considerata, quella della people of color (non solo afro, ma anche ispanici e tutte le etnie non “bianche”, ndr). Lo stesso dicasi per la cultura femminile e femminista del XX secolo. Si pensi solo a quella fantastica artista che è stata Carmen Herrera, assurta alla fama solo a 89 anni (il destino sarebbe stato benevolo con lei, facendola vivere 106 anni: dal 31 maggio 1915 al 12 febbraio 2022, ndr). Lei, cubana e donna, regina dell’astrazione”.
Labyrinth of Forms: Women and Abstraction 1930-1950 è la mostra che si chiuderà il 13 marzo 2022 al Whitney Museum di New York, dedicata alle (numerose) donne dell’astrattismo americano. “Dobbiamo essere in grado di cambiare il nostro alfabeto estetico e di rimetterci in gioco, sempre”. La Grande Mela aiuta in questo: “Esiste un’associazione, Times Square Arts, che ormai dal 2012 fa si che i pannelli pubblicitari di Times Square diano vita a una esibizione artistica sincronizzata dalle 23.57 a mezzanotte, ogni giorno”. Si tratta della maggiore e più durevole mostra digitale di arte al mondo.
“La Times Square Advertising Coalition regala tre minuti del suo tempo pubblicitario agli artisti che ne facciano richiesta. Un messaggio bellissimo”. Fra gli artisti che hanno colorato la piazza simbolo di New York, anche l’italiano Federico Solmi, con le sue conturbanti immagini multicolori traduzione di quel luogo che per l’artista visivo è il “centro della sregolatezza, un’orgia pubblicitaria e la degenerazione del sistema capitalistico” in cui “milioni di turisti ogni anno vadano ad ammirare la pubblicità, il grande teatro di chi ti vuole vendere qualcosa”.
La nuova pelle di New York passa anche dagli italiani, che non fanno parte della people of color, anche se tradizionalmente non sono mai appartenuti alla classe dominante: basti ricordare la vicenda di Sacco e Vanzetti, non ancora sanata. L’italianità artistica compare anche a Bryant Park, con HERO for Florence, l’omaggio al David di Michelangelo di Antonio Pio Saracino. “E non si può non visitare dalle parti di Soho il CIMA – Cente for Italian Modern Art di Laura Mattioli (attualmente è in corso la mostra Staging Injustice: Italian Art 1880-1917, ndr)”. La pandemia ha svuotato New York, che in un certo senso ancora non si è riempita. Ma “lo spazio vuoto permette di generare nuove energie, il nuovo e la rigenerazione possono arrivare solo nel deserto”.
Box - De Nittis alla Phillips Collection
È in preparazione – a cura dello stesso Renato Miracco – una grande esposizione alla Phillips collection di Washington. Si tratta della prima grande mostra sul nostro Giuseppe De Nittis (Barletta, 25 febbraio 1846 – Saint-Germain-en-Laye, 21 agosto 1884) in relazione a Edgar Degas, Eduard Manet, Gustave Caillebotte (quest’ultimo, padrino del figlio di De Nittis). “L’apporto italiano all’impressionismo francese e al luminismo passa attraverso Giuseppe De Nittis”, ricorda Miracco, la cui firma è apposta anche sul nuovo allestimento della Pinacoteca Giuseppe De Nittis “Rileggere De Nittis, oggi”, inaugurato il 25 settembre 2020 a Barletta. Sono in arrivo da tutto il mondo 81 opere, provenienti anche da Tate Modern, Louvre, Art Institute of Chicago, Metropolitan, Pinacoteca di Barletta. Una operazione culturale importante nel momento in cui gli italiani rischiano di essere solo i “discendenti di Cristoforo Colombo”.