- L’Opec+ ha annunciato la decisione di aumentare l’offerta di petrolio oltre le attese per il secondo mese consecutivo
- Hansen: “I prezzi hanno trovato sostegno nei timori che i produttori con costi più elevati possano avere difficoltà a sostenere la produzione”
Prezzi del petrolio stabili dopo il brusco calo di lunedì, innescato dall’annuncio dell’Opec+ di aumentare l’offerta di greggio oltre le attese per il secondo mese consecutivo. “La mossa, guidata in gran parte dall’Arabia Saudita, sembra essere una risposta calcolata alla persistente inosservanza all’interno del gruppo, in particolare da parte del Kazakistan, e si allinea anche alla spinta del presidente Donald Trump per un abbassamento dei prezzi del petrolio”, spiega Olen Hansen, head of commodity strategy di Saxo Bank. Ma quali scenari si aprono per l’oro nero?
“Nel tempo, l’Opec potrebbe trarre vantaggio da questa strategia attraverso un aumento della quota di mercato, poiché il protrarsi dei prezzi bassi potrebbe mettere a rischio la redditività dei produttori con costi più elevati”, osserva Hansen. “Parte del rimbalzo dei prezzi deriva dal fatto che la scorsa settimana il mercato aveva già scontato la probabilità di un altro aumento della produzione”, prosegue. Il tutto è avvenuto nonostante il miglioramento del sentiment generale, stimolato da un ottimismo crescente nei confronti delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina.
Petrolio, dal “Liberation day” a oggi
Come si evince dal grafico sottostante, l’ultima ondata di vendite si è arrestata appena sopra il minimo di 55 dollari al barile registrato a inizio di aprile, in concomitanza con il cosiddetto “Liberation day”, il giorno della liberazione: è così che Donald Trump aveva ribattezzato l’annuncio del grande disegno dei dazi con il quale intendeva riscrivere le regole del commercio mondiale.

“Sebbene l’aumento dell’offerta fosse in qualche modo previsto, i prezzi hanno trovato sostegno nei timori che i produttori con costi più elevati possano avere difficoltà a sostenere la produzione, in particolare negli Stati Uniti, dove il Wti è sceso sotto i 60 dollari al barile”, dichiara Hansen. Si tratta di una soglia, racconta, sotto la quale un eventuale ulteriore aumento della produzione diventerebbe economicamente insostenibile. “Tuttavia, con l’Arabia Saudita che segnala la disponibilità ad aumentare ulteriormente l’offerta, qualsiasi slancio al rialzo dei prezzi potrebbe essere limitato”, sostiene l’esperto.
Gli scenari per l’oro nero dopo l’Opec+
L’Opec+ ha intanto stabilito di estrarre più greggio a giugno per 411mila barili al giorno, tre volte tanto le attese di Goldman Sachs. Con questa mossa, il cartello ha ridotto di oltre il 40% i tagli alla produzione di 2,2 milioni di barili al giorno avviati tra il 2022 e l’agosto del 2023. Ciononostante, ricorda Hansen, la “credibilità del gruppo è stata minata dalle diffuse violazioni delle quote”. L’attenzione va in particolare a Iraq, Kazakistan ed Emirati Arabi Uniti, ritenuti i principali fautori della sovrapproduzione. Ma anche Iran e Venezuela avrebbero a loro volta contribuito a complicare il quadro, incrementando la loro produzione complessivamente di più di 1 milione di barili al giorno dal mese di settembre di tre anni fa.
“Se gli Stati Uniti, sotto la rinnovata attenzione del presidente Trump, riusciranno a imporre sanzioni più severe a questi due paesi e se il rispetto delle quote all’interno dell’Opec+ migliorerà, l’aumento netto effettivo dell’offerta globale potrebbe essere molto inferiore a quanto temuto dal mercato”, sostiene in definitiva Hansen. “In combinazione con un potenziale calo della produzione dei produttori ad alto costo, questo scenario potrebbe contribuire a riequilibrare il mercato più rapidamente del previsto”, conclude l’esperto.