Anno dopo anno, i governi fanno sempre più fatica a mettere a punto finestre di pensionamento anticipato. Il rapporto fra lavoratori e pensionati italiani è già in peggioramento per ragioni demografiche e ogni nuovo assegno pensionistico comporta nuovi costi per l’Inps e le casse pubbliche. Per controllare i costi dei pensionamenti anticipati una delle mosse più concrete è offrire un assegno commisurato esclusivamente ai contributi versati. Una soluzione già adottata come quelle adottata per Opzione donna e Quota 103. Il ricalcolo della pensione da retributivo a contributivo è generalmente penalizzante: in particolare, per chi ha versato pochi contributi per lunga parte della propria vita lavorativa, per poi migliorare i propri livelli di reddito solo alla fine.
Per settimane si è parlato della possibilità di realizzare Quota 41, il pensionamento anticipato con 41 anni di contributi versati e nessun requisito di età, nella sua forma “light”: offrendo una pensione calcolata con metodo esclusivamente contributivo. Anche questa versione, assai meno onerosa per le casse pubbliche, si scontra con l’esigenza di ridurre il deficit, nel primo anno di ripristino dei (rinnovati) vincoli del Patto di Stabilità sul bilancio. La sua effettiva realizzazione, al momento, non sembra probabile.
Da qui in avanti, comunque, sarà difficile immaginare ipotesi di pensionamento anticipato che eludano un ricalcolo esclusivamente contributivo dell’assegno pensionistico. Insomma, chi deciderà di andare in pensione prima, dovrà accettare una penalizzazione. Di quanto? Dipende da quanti anni si è lavorato prima del 1995, anno a partire dal quale la quota di pensione successiva viene già calcolato con sistema contributivo e non più retributivo. We Wealth ha chiesto una simulazione ad Andrea Carbone, del laboratorio indipendente di ricerca e consulenza finanziaria Smileconomy, nell’ipotesi di una Quota 41 “light” contributiva.
Perché il ricalcolo contributivo è diventato una costante quando si parla di nuovi pensionamenti anticipati?
Il cosiddetto “ricalcolo contributivo” è una soluzione adottata per provare a rendere più sostenibile per lo Stato l’assegno pensionistico dei lavoratori che hanno iniziato a lavorare entro il 1995. Per loro, infatti, una parte di pensione, per ogni anno lavorato prima del 1996, è legata al più generoso sistema retributivo, che prevede un assegno sostanzialmente indipendente dai contributi effettivamente versati, ma ancorato alla media delle ultime retribuzioni. Con il ricalcolo contributivo, normalmente, il valore dell’assegno pensionistico si abbassa, risolvendo in parte il problema della sostenibilità. Tuttavia, non bisogna dimenticare che ogni pensionamento anticipato porta ad un problema di cassa, perché – grande o piccolo che sia – ogni nuovo assegno va a incidere sui flussi in uscita dell’Inps.
Quanto è stato usato, negli ultimi tempi, il ricalcolo contributivo?
Una delle misure più note ad avere il ricalcolo contributivo è stata “Opzione Donna”: una “misura sperimentale temporanea” che è stata presente per molti anni (fu introdotta 20 anni fa dall’allora ministro Maroni). In sostanza, a fronte della possibilità di anticipare di molti anni il momento della pensione (per un periodo di tempo il requisito fu di 57 anni, per il 2024 siamo a 61 anni), si obbligava al ricalcolo contributivo, con penalizzazioni che nel corso degli anni, sommando gli effetti dell’anticipo del momento della pensione e il ricalcolo, potevano superare il 30% o il 40% sul valore dell’assegno pensionistico. Dal 2023 Opzione Donna è diventata però una misura non più universale, ma rivolta esclusivamente a lavoratrici disabili, care giver o occupate/licenziate di aziende in crisi. La novità del 2024 è stata che anche Quota 103 è diventata “contributiva”, con l’analogo ricalcolo dell’assegno pensionistico.
Nell’ipotesi, di una Quota 41 contributiva a quanto reddito si rinuncia?
Nelle seguenti tabelle abbiamo simulato quali potrebbero essere gli impatti per lavoratrici e lavoratori dipendenti a partire dal prossimo anno, sia in termini di variazione del momento della pensione che di valore dell’assegno. Abbiamo ipotizzato che né Quota 103, né Opzione Donna vengano prorogate. Siamo partiti dai lavoratori del 1959 (quelli del 1958 nel 2025 già raggiungeranno il requisito di vecchiaia di 67 anni di età), per varie età di inizio contribuzione, dai 18 ai 30 anni.
Il massimo beneficio sarebbe fino a poco più di due anni (2 anni e 2 mesi): quota 41 consentirebbe infatti di non dover più attendere il requisito di pensione anticipata, oggi pari a 42 anni e 10 mesi, anticipando così di un anno e dieci mesi, più il “risparmio” dei futuri adeguamenti dei requisiti per l’attesa di vita.
A fronte della possibilità di anticipare c’è però un doppio effetto: andare prima in pensione significa lavorare per meno anni ed essere più giovane; nel sistema di calcolo contributivo ciò significa avere una pensione più bassa. A questo effetto va aggiunto il ricalcolo contributivo: la riduzione dell’assegno pensionistico è quindi stimabile tra il 5% e il 18% circa, a seconda della combinazione considerata e dell’entità dell’anticipo.
E per le lavoratrici, che cosa cambierebbe?
Le lavoratrici hanno un requisito di pensione anticipata di 41 anni e 10 mesi: l’effetto di quota 41 sul tempo sarebbe quindi ridotto, come mostrano le simulazioni in tabella:
Il risparmio massimo in termini temporali sarebbe fino a 1 anno e 2 mesi, con dei cali dell’assegno compresi tra il 5% e il 14% circa.
Alla fine la penalizzazione sarebbe piuttosto importante…
Ogni lavoratore o ogni lavoratrice, qualora questa riforma passasse, dovrebbe quindi riflettere sul rapporto tra tempo della propria vita e risorse economiche: meglio un anno in meno di lavoro o un 10% in più di pensione (dall’anno successivo)? A ciascuno la propria risposta.