A meno che non sia rinvenibile una esplicita volontà del defunto di non trasmettere i beni digitali agli eredi, questi ultimi possono essere autorizzati ad entrare in possesso delle password e degli account del de cuius
Per essere autorizzati ad accedere agli spazi web del de cuius occorre dimostrare l’esistenza di un interesse meritevole di tutela
La nostra vita è ormai integrata dal mondo digitale. Ogni
giorno le nostre attività sono mediate dai dispositivi che, tramite
account e, conseguentemente password di accesso, ci consentono di entrare in
contatto con amici e colleghi, svolgere operazioni finanziarie, eseguire
attività lavorative.
In questo scenario non può stupire che la questione che
involge la trasmissione delle password e degli account dopo la propria vita,
sia approdata in tribunale.
Sul punto, il Tribunale di Milano, con una recente
pronuncia, ha statuito che le chiavi che permettono di accedere ai vari account
in vita, in caso di morte, sono materia di successione ereditaria e, pertanto,
possono entrare a far parte di tutto quel patrimonio di beni, in senso lato
intesi, che dal de cuius devono essere devoluti agli eredi.
In questi termini, una donna è stata autorizzata ad entrare in possesso degli account di posta elettronica e dei servizi di
archiviazione virtuale (nel caso di specie I-Cloud) dei profili social dell’ex
coniuge defunto. Per i giudici meneghini, infatti, al pari di lettere,
documenti cartacei, e fotografie, anche le password e gli account rientrano nei beni
da trasmettere per eredità.
Tuttavia, agli eredi non compete un diritto, per così dire,
incondizionato, di accesso agli spazi virtuali del defunto. Occorre, per essere autorizzati ad accedere agli spazi web del de cuius, dimostrare
l’esistenza di un interesse meritevole di tutela.
In linea generale, è ritenuto legittimo l’acceso virtuale alla cartella
clinica del defunto, ove necessario per mettere in luce le modalità della sua
morte, magari ai fini di un’azione di responsabilità medica; come pure può
essere ritenuto legittimo l’accesso ai
dati previdenziali del de cuius, quelli bancari, o perfino quelli fiscali in
possesso dell’Agenzia delle entrate.
A meno che non sia rinvenibile una esplicita volontà del
defunto di non trasmettere i beni digitali agli eredi, questi ultimi possono
essere autorizzati ad entrare in possesso delle password e degli account del de
cuius.
Tuttavia, come messo in evidenza dal Consiglio Nazionale del Notariato,
in una nota di qualche tempo fa, conviene sempre affidare le proprie credenziali ad una persona di
fiducia, illustrando le istruzioni su cosa fare in caso di decesso: ad esempio, distruggere i dati in tutto
o in parte o consegnarli a determinati soggetti.
E invero, ci sono almeno due strumenti utili previsti dal nostro ordinamento:
Si tratta del:
- legato di password, vale a dire un lascito avente ad oggetto la chiave di
accesso ad un determinato patrimonio digitale del defunto. Tuttavia, anche se è
possibile intendere il legato di password (ex art. 655 c.c.) alla stregua del
legato da prendersi in un certo luogo (soluzione che permetterebbe di indicare
nel testamento il luogo ove le password si trovano), detto strumento va
incontro agli stessi limiti del testamento; presentando l’ostacolo della
potenziale ostensibilità a terzi delle credenziali di accesso agli account. - Mandato post mortem exequendum. Detto mandato è un contratto inter vivos, la cui esecuzione
è differita e avverrà alla morte del mandante. In questi termini, il
mandatario, alla morte del de cuius, dovrà compiere determinati atti da
quest’ultimo indicati: pertanto, secondo le istruzioni ricevute, dopo la morte
del mandante il mandatario potrà accedere con le password ricevute ai dati
digitali.