Molte istituzioni italiane mettono a disposizione strumenti di finanza agevolata a sostegno sia delle esportazioni sia degli investimenti italiani in India
Nei prossimi anni si prevede un incremento degli investimenti esteri in India nell’ambito della transizione energetica e green economy
In ragione di questi nodi che impediscono all’economia indiana di manifestare appieno il suo potenziale, il governo indiano si sta impegnando a stimolare le partnership pubblico-privato e ha approntato piani di investimento per coinvolgere società private, anche e soprattutto straniere. Alla luce di questo scenario, favorevole per molte imprese italiane interessate a investire in India, abbiamo chiesto a Enrico Rimini e Lorena Pellissier, soci dello Studio Belluzzo Mercanti e responsabili dell’India Desk in Italia, quali sono gli aspetti di maggior interesse da tenere a mente.
Sono circa 650 le imprese italiane presenti in India, sia attraverso controllate sia con jv con partner locali. Lo stock di investimenti ammonta a più di 2 miliardi di euro. Sulla base dei dati condivisi dalla Camera di Commercio Italo-Indiana, tra i settori più rappresentati vi sono il manifatturiero, l’auto e la componentistica, costruzioni e infrastrutture. Diverse aziende del Made in Italy (arredo, moda, agroalimentare) hanno uffici commerciali in India.
Quali sono le opportunità in ottica fiscale per gli imprenditori e le imprese italiane che vogliono investire in India? Qual è l’aliquota delle imposte sulle società in India o il regime fiscale dei dividendi?
L’India sta spingendo in modo rilevante le attività produttive. Ad una aliquota comunque competitiva delle imposte sui redditi del 25,17% per tutte le società, si aggiunge per le nuove iniziative produttive una aliquota sostanzialmente ridotta del 17,16%. L’imposizione sui dividendi in uscita è stata recentemente riformata e da aprile 2020 è stata abrogata la penalizzante imposta del 20,56% sostituita da una ritenuta del 10% per le imprese residenti e da una del 15% per le imprese non residenti con riconosciuta applicazione dei trattati internazionali contro le doppie imposizioni. Provvedimenti a livello doganale, quali dazi anti-dumping, dazi compensativi e incentivi all’export dall’India, sono, inoltre, un ulteriore importante incentivo alla produzione locale. Di recente, i leader dell’Ue e dell’India hanno convenuto di riprendere i negoziati per un accordo commerciale reciprocamente vantaggioso.
Quali sono, allo stato attuale, gli incentivi all’esportazione verso l’India che un investitore italiano deve tenere a mente?
L’Unione Europea, nell’ambito dei piani di sviluppo regionale, mette a disposizione varie progettualità per supportare l’internazionalizzazione delle Pmi. Oltre alle agevolazioni del Mise nell’ambito del Pnrr e per l’inserimento di figure di Temporary Export Managers, istituzioni italiane come Sace e Simest propongono strumenti di finanza agevolata a sostegno sia delle esportazioni sia degli investimenti italiani all’estero, India inclusa. La ripresa dei colloqui per la creazione di un Fta (Free Trade Agreement) con l’Unione Europea, attualmente assente con l’India, lasciano ben sperare per il prossimo futuro.
È possibile individuare tre ragioni e tre settori chiave su cui un imprenditore italiano dovrebbe puntare?
Venendo ai settori, in primo luogo, occorre considerare che i settori tradizionali di presenza italiana sono una forte attrattiva per il mercato indiano, quali food, fashion e design. In seconda battuta, nei prossimi anni, prevediamo un incremento degli investimenti e delle collaborazioni nell’ambito della transizione energetica e green economy. Infine, trend di crescita si profilano anche nei settori della cosmetica, farmaceutico, dei veicoli elettrici e delle infrastrutture ferroviarie per l’alta velocità. Quanto alle ragioni, certamente motivi validi per prendere in considerazione l’India sono le iniziative del Governo indiano, la dimensione del mercato e l’alta disponibilità di personale qualificato nei servizi rivolti agli investitori.