I Non fungible token (Nft), come molti già sanno, sono beni digitali rappresentativi di servizi o beni, normalmente anch’essi digitali, commerciati solitamente su piattaforme che utilizzano una blockchain (ad esempio, Ethereum), dietro pagamento di corrispettivi denominati (spesso) in criptovalute.
Molto si è già scritto al riguardo in tema di imposte dirette; non mancano tuttavia aspetti critici anche in materia di Iva.
Cessione di Nft e Iva
Occorre innanzitutto rilevare che la cessione di Nft, nel mondo Iva, è in ogni caso considerata come una prestazione di servizi (così come pranzare in una trattoria rappresenta, ai fini del tributo in questione, una prestazione di servizi di ristorazione, e non una cessione di cibo e bevande); in particolare, si tratta di servizi che rientrano nel genus dei servizi prestati tramite mezzi elettronici, appartenente al più ampio settore del commercio elettronico diretto.
Ciò premesso, in ambito Iva risulta fondamentale stabilire (per qualunque tipo di prestazione di servizi) in quale territorio il servizio deve considerarsi prestato (ai fini del tributo stesso): si tratta della cosiddetta regola della territorialità, in base alla quale si applica l’Iva italiana solo quando un servizio si considera, per l’appunto, territorialmente rilevante in Italia.
Nft, status del cliente e collocazione geografica
Dunque, senza entrare nelle complicatissime norme che regolano la territorialità, va notato che risulta fondamentale in proposito conoscere lo “status” del cliente e la sua collocazione geografica: in particolare, occorre sapere se il cliente (in questo caso, che acquista un Nft) sia un’impresa o un privato, e dove risiede.
Invero, una piattaforma italiana che vende Nft applicherà sempre l’Iva ai clienti privati italiani e, in linea di massima, pure a quelli comunitari, mentre non l’applicherà mai ai clienti privati extra-comunitari; parimenti, applicherà sempre l’Iva ai clienti imprese italiane, e mai a quelle comunitarie o extracomunitarie.
Risulta tuttavia oggettivamente difficile, nel caso dei servizi prestati mediante mezzi elettronici, conoscere la localizzazione (e la natura) del cliente; per questo motivo la normativa comunitaria offre al riguardo delle presunzioni (relative), che in certi casi possono essere di grande aiuto: si pensi, ad esempio, ai servizi resi attraverso una rete mobile, in relazione ai quali il fornitore potrà presumere che il cliente risieda nello Stato identificato dal prefisso nazionale della carta Sim utilizzata per la ricezione dei servizi.
Il punto è che, normalmente, le piattaforme che vendono Nft conoscono solo dov’è sito il wallet da cui provengono le criptovalute incassate a titolo di corrispettivo: un dato probabilmente non sufficiente, anche alla luce degli elementi forniti dalla normativa comunitaria in fatto di presunzioni.
L’unica soluzione sembrerebbe quindi quella di “profilare” il cliente, a cui quindi richiedere lo “status” e la localizzazione (salvo il caso dei clienti rappresentati da imprese, nei confronti delle quali sarà addirittura necessario emettere una fattura, e quindi raccogliere necessariamente ulteriori dati identificativi passibili di riscontro oggettivo).