Il Peterson Peterson Institute for International Economics ha pubblicato recentemente un report dove illustra le modalità attraverso cui le multinazionali non pagano le tasse
Manipolazione dei prezzi lungo la filiera produttiva e vendita di beni immateriali sono le due prassi più diffuse per aggirare il fisco
L’OECD tramite la concessione di diritti di tassazione anche ai paesi in cui vengono venduti i prodotti e l’introduzione della global minum tax potrebbe limitare questo fenomeno
Come dovrebbe funzionare il sistema fiscale internazionale?
L’attuale sistema internazionale di tassazione risale a un modello sviluppato dalla Società delle Nazioni dopo la prima guerra mondiale e prevede una doppia tassazione: i governi dei paesi in cui si producono gli input e si assemblano i prodotti possono tassare i profitti durante ogni fase della produzione, mentre il paese dove l’azienda ha la sede centrale tassa i profitti totali dell’azienda. Di contro, i paesi dove il prodotto finale dell’azienda è venduto non hanno invece diritti di tassazione. L’introito derivante dalla vendita dei prodotti sarà computato nei profitti totali oggetto di tassazione nel paese in cui l’azienda ha la sede, a differenza dei profitti già precedentemente tassati in una giurisdizione straniera, imputabili al processo di produzione. Il sistema così pensato mira a garantire che ogni paese nella catena di fornitura riceva la sua giusta quota di tasse. Per assicurare l’equità tuttavia si suppone che ogni affiliato nella filiera produttiva faccia pagare alle altre entità interne all stesse lo stesso prezzo che troverebbero sul mercato.
Manipolazione dei prezzi e vendita dei beni immateriali
Cosa che non accade. Le multinazionali per evitare di pagare le tasse ricorrono alla manipolazione dei prezzi: se un’entità nella filiera gonfia i suoi prezzi, aumenta i costi per la fase successiva della produzione, riducendo il profitto e dunque la tassazione nella giurisdizione dello stabilimento successivo. Allo stesso modo, se un’entità vende il suo prodotto al di sotto dei prezzi di mercato, riduce il profitto ammissibile per la tassazione nella propria giurisdizione e abbassa i costi per l’entità successiva. Viene da sé dunque che un impianto in un paese ad alta tassazione venderà il suo prodotto a un’entità sorella in un paese a bassa tassazione al di sotto del prezzo di mercato, riducendo così i profitti registrati nel suo paese (ad alta tassazione) e abbassando i costi e dunque aumentando i profitti nel paese dell’altro impianto (a bassa tassazione), che a sua volta venderà ai distributori il prodotto finale a prezzo maggiorato per massimizzare ancor di più i profitti.
I due pilastri della nuova proposta OCSE
Il primo pillar della nuova proposta dell’OCSE prevede la ridistribuzione dei diritti di tassazione per concedere ai paesi mercato – le giurisdizioni in cui si verificano le vendite o gli utenti sono basati – alcune entrate fiscali. Le aziende con un reddito globale di più di 20 miliardi di euro (ridotto a 10 miliardi di euro dopo una revisione a partire dal settimo anno) e profitti prima delle tasse che superano il 10% dei costi, avrebbero una parte dei loro profitti da tassare in questi paesi. Tali soglie di reddito e di profitto significano che solo le imprese multinazionali più grandi e più redditizie saranno colpite. L’OCSE stima che 780 imprese multinazionali registrano profitti superiori al 10%. Non tutti i paesi mercato inoltre riceveranno diritti di tassazione. Ai negoziati di luglio è stato deciso che i diritti saranno assegnati solo ai paesi mercato che generano almeno 1 milione di euro di entrate per un’impresa. I paesi più piccoli (con un PIL inferiore a 40 miliardi di euro) potranno tassare i profitti dell’impresa se le vendite nella loro giurisdizione superano i 250.000 euro.
Tuttavia, i due pilastri dell’OCSE non coprirebbero tutte le strategie che le imprese multinazionali impiegano per ridurre le tasse. I paesi a bassa tassazione potrebbero continuare ad attirare le multinazionali sulle loro “coste” con altri vantaggi fiscali. Uno di questi, per esempio, è la concessione di crediti d’imposta per la ricerca e lo sviluppo (R&S).