È ormai noto, sottolineano i giudici, l’impiego delle criptovalute nel darkweb
Il sistema di acquisto di bitcoin si presta ad agevolare condotte illecite
Che le criptovalute, in ragione dei sistemi che garantiscono l’anonimato dei detentori, fossero strumenti potenzialmente idonei a favorire o finanziare, anche indirettamente, la commissione di attività illecite la giurisprudenza
già si era espressa.
Tuttavia, con una recente sentenza, Cass. pen. 13.7.2022
n. 27023, i giudici di legittimità hanno messo in evidenza un altro pericolo
correlato alla detenzione e all’impiego di criptovalute.
Ad avviso della Corte, infatti, i bitcoin e, in generale le monete
virtuali, rientrerebbero nel novero di quegli strumenti finanziari (a carattere
speculativo) idonei ad integrare il reato di autoriciclaggio.
A tal riguardo, il ragionamento che hanno seguito i giudici
ha preso le mosse dall’art. 648-ter, rubricato “autoriciclaggio”, a mente del
quale è punito con la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da
euro 5.000 a euro 25.000 chiunque impieghi, sostituisca, trasferisca il denaro (già
profitto di reato) in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o
speculative, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro
provenienza delittuosa.
Nel caso rimesso al giudizio della Corte, il reato di
autoriciclaggio sarebbe venuto in rilievo a seguito dell’utilizzo del denaro (proveniente dalla commissione di truffe) per l’acquisto di criptovalute. In effetti,
mettono in evidenza i giudici, il sistema di acquisto di bitcoin si presta ad
agevolare condotte illecite, in quanto è possibile garantire un alto grado di
anonimato (sistema c.d. permissionless), senza previsione di alcun controllo
sull’ingresso di nuovi “nodi” e sulla provenienza del denaro
convertito.
Indubbiamente, osserva la Corte, il legislatore italiano, in
particolare, con il decreto legislativo n. 90/2017 attuativo della IV Direttiva
Antiriciclaggio, ha rafforzato la disciplina, anticipando le disposizioni della V Direttiva Antiriciclaggio in
materia di criptovalute; tuttavia, in via di fatto (come emerso nel caso oggetto di sentenza), i meccanismi di controllo non
hanno consentito di evitare la re-immissione
del profitto delle truffe nel circuito dell’economia legale attraverso l’investimento
in criptovalute.
È ormai noto, sottolineano i giudici, l’impiego delle criptovalute
nel darkweb, le quali – proprio per le
loro peculiari caratteristiche – attraverso l’uso di tecniche crittografiche
avanzate, garantiscono un elevato livello di privacy sia in relazione alla
persona dell’utente sia in relazione all’oggetto delle compravendite