Questa fase rappresenta oggi una delle principali sfide della logistica, costituendo al contempo un fattore chiave per la soddisfazione dell’acquirente e la parte più onerosa e difficile del processo di spedizione. L’ultimo miglio sconta infatti la carenza (almeno per ora) di immobili dedicati, le inefficienze delle distanze nei territori rurali e l’accesso a tessuti urbani rallentati dal traffico.
Quali le conseguenze sul mercato immobiliare?
Partiamo dal dato positivo, ovvero la continua ricerca di nuovi spazi che possano diventare hub e magazzini dell’ultimo miglio. Moltissimi investitori istituzionali oggi si orientano a investire massicciamente in immobili che possano soddisfare questa esigenza sempre più pressante e gli stessi vettori della distribuzione stanno ammodernando la loro supply chain in questa direzione.
I driver determinati nell’individuazione degli immobili nei quali investire sono la location, l’efficienza energetica dell’immobile (ad esempio, una certificazione Leed), l’essere dotati di impianti a temperatura controllata (per la catena del freddo o per logistiche particolari) e, infine, l’essere dotati di impianti di generazione energetica a basso consumo (in previsione di poter disporre di parcheggi per veicoli elettrici).
Questa tipologia di immobili costituirà una tra le asset class più “sicure” per un investimento e i prezzi sono destinanti inevitabilmente a lievitare, considerata anche la carenza di prodotto in Italia e le tempistiche per le riqualificazioni dell’esistente.
Si apre così un’opportunità importante di riqualificazione e riconversione dell’esistente, che potrebbe dare booster al mercato con la demolizione e ricostruzione dei vecchi spazi inutilizzati da decenni e l’affermazione nelle città dell’urban logistic (magazzini di piccolissimo taglio, non più di 500/1000 mq, magari pluripiano, già presenti a Londra, e Tokyo che interessano molto gli investitori specializzati nel settore, come il fondo americano Prologis e il fondo Mileway di Blackstone).
Ma, insieme al dato positivo, dobbiamo considerare adeguatamente altri effetti di questa modifica radicale del sistema del commercio e della distribuzione.
Nelle nostre città cresce – in modo a volte impressionante – il numero di negozi chiusi e di locali sfitti. Le strade potrebbero divenire sempre più “buie” e pervase da un senso – almeno epidermico – d’insicurezza e abbandono, con una conseguente diminuzione dei valori immobiliari. Deve poi essere considerato l’aumento del traffico e dell’inquinamento.
In questo contesto, gli sforzi dovranno essere tesi a contrastare fenomeni di desertificazione commerciale. In molte nazioni, la risposta che si cerca di dare è la creazione di città dei 15 minuti, cercando di ridisegnare gli spazi e i servizi – inclusa la logistica – per rendere tutto a dimensione d’uomo, raggiungibile a piedi.
La Francia, per restare in Europa, ha già adottato molte misure in questo senso nel Plan relance.
Fondamentale l’intervento pubblico, con la creazione di Urby – una società del gruppo La Poste -con il compito di gestire l’ultimo miglio, con furgoni elettrici o biciclette. Urby in tre anni di attività ha creato una rete di magazzini diffusi in tutta la Francia, in molti casi collegata a piattaforme di vendita digitale alternative a quelle internazionali. Da queste partnership, tra commercio di dettaglio e logistica dell’ultimo miglio, si sta creando una nuova opportunità di commercio “etico” e responsabile nei tessuti urbani. Nancy, ad esempio, ha recentemente attivato un suo marketplace – una vetrina unitaria per negozi, caffè e ristoranti della città – e ha avviato, in parallelo, sostegni per creazione di cooperative locali di rider.
E in Italia?
Il tema della logistica urbana in una visione integrata è stato recentemente oggetto di un position paper realizzato dal ministero delle Infrastrutture e dei trasporti nel dicembre 2020, in partenariato con Anci e con il Freight leaders council, nel quale si evidenziava l’importanza di adottare piani urbani di logistica sostenibile.
Ora che il nuovo governo ha un nuovo ministero delle Infrastrutture e della mobilità sostenibile, l’auspicio è che queste problematiche vengano adeguatamente considerate anche nei programmi di rigenerazione urbana, utilizzando in modo serio e responsabile parte delle risorse del Recovery plan.