Il Governo Meloni, alla fine, ha ceduto e ha accettato modifiche che devitalizzano la tassazione degli extra-profitti bancari e la rendono un desiderio frustrato. “Io vorrei, non vorrei ma se vuoi” recitava magistralmente ed insuperabilmente Lucio Battisti.
L’esclusione dei titoli di Stato dalla tassazione
La prima è l’esclusione dei titoli di Stato dalla tassazione, mentre la seconda è rappresentata dall’esclusione della tassazione in caso di destinazione del relativo importo a capitale e di mancata distribuzione di utili.
La prima modifica è seria in linea astratta, ma nel concreto costituisce il frutto di uno scambio quanto meno discutibile, vale a dire quello tra appoggio delle banche al debito pubblico statale, da un lato, e dall’altro un privilegio a mo’ di compensazione.
L’esclusione della tassazione in caso di destinazione dell’importo a capitale e di mancata distribuzione degli utili
Ma è la seconda è semplicemente dissennata. Essa fornisce rilievo, ai fini della solidità bancaria, al capitale e al patrimonio, che invece hanno un ruolo – importantissimo ma secondario -, visto che le banche operano con prevalenza di capitali di terzi, affidati loro in deposito, mentre quello principale è costituito dalla qualità degli attivi.
La capitalizzazione delle banche
Ma non solo: la capitalizzazione della banca, se realizzata a carico degli utenti, non è in grado, solo perché preferibile alla distribuzione degli utili, di sanare eventuali abusi e arbitri. Che i benefici della capitalizzazione stessa vadano a favore dell’impresa piuttosto che dei soci è preferibile, ma solo in un’ottica di minor male: del resto, alla lunga il vantaggio a carico dei soci si realizza inesorabilmente, anche mediante operazioni di integrazione e di cessione che sfuggono al controllo delle misure di cautela introdotte dalla modifica introdotte.
È l’impostazione generale sottostante a rivelarsi semplicemente aberrante: l’impresa si può benissimo potenziare in modo illecito o comunque scorretto, in quanto la sua solidità è un bene intrinseco.
La capitalizzazione è positiva solo se raggiunta in modo efficace: il profitto – e non la sola sua distribuzione – è positivo solo se frutto di un effettivo valore aggiunto sul mercato e non di un comportamento predatorio.
E c’è di più: nel merito la capitalizzazione in un’ottica di “gestione e sana” dell’azienda bancaria (che è la vera “Grund-norm” dell’ordinamento bancario) va completamente distinta da quella che si colloca in un’ottica speculativa e distruttiva.
Conclusioni
In definitiva, la norma era sbagliata “ab origine” e le modifiche addirittura peggiorano la situazione.
Ma la critica va condotta, in modo estremamente rigoroso, sul piano dei presupposti, proprio alla luce dei principi di tecnica bancaria.
In tale ottica, quello che occorre verificare è se gli extra-profitti non siano annullati, o comunque neutralizzati, da altri risultati negativi (per esempio perdite su titoli proprio alla luce dei tassi alti, come successo in America).
Inoltre, occorre verificare se i super-profitti creino una situazione stabile o invece precaria e allora, nel secondo, la tassazione sarebbe fittizia e anche pericolosa per la stabilità, valore supremo del mondo bancario, a base indefettibile di tutti gli altri.
Così la tassazione va razionalizzata in modo da individuare presupposti rigorosi in un’ottica di controlli rigorosi e non di penalizzazione. Il principio, ricavabile dall’art. 41, 1° e 2° comma Cost, è che il profitto è meritevole di tutela ma non deve ledere l’economia nel suo complesso e con essa gli interessi sociali. L’unico modo, per realizzare tale doverosa situazione, è che il profitto non sia illimitato ma sia ragionevole per unità di prodotti, in modo da aumentare (esclusivamente) con l’aumento della produttività e dell’efficienza. In tal modo, con l’individuazione di rigorosi presupposti, viene meno “in limine” ogni ipotesi di incostituzionalità: le critiche che gli aumenti della tassazione ricada sugli utenti provano troppo.
Ad accoglierle, si inibirebbe ogni politica fiscale. Condizione necessaria e sufficiente è costituita dal rigore di ogni aumento.
La tassazione degli extra-profitti, tout court”, è un’altra cosa: anch’essa è meritevole di introduzione, ma su presupposti del tutto diversi. In quanto (nient’altro che) penalizzazione, dovrebbe valere per tutti i grandi speculatori, bancari o industriali che siano.
Se gli extra-profitti non si ripetessero o si ripetessero con difficoltà, allora la misura diventerebbe –“rectius”, a livello almeno potenziale – , per i grandi speculatori, una ragione valida per pensarci bene prima di continuare in questa strategia a tutto gas: la tassazione assurgerebbe a livello di forma di dissuasione. E così, essa tassazione si potrebbe – finalmente – coordinare con i controlli sulle imprese, in un’ottica di rigorosa ed effettiva politica economica, costruttiva ed effettiva e non velleitaria.
La forma di penalizzazione sarebbe non fine a se stessa, ma si rivelerebbe un prezioso tassello in un’ottica di approccio innovativo e propositivo in materia di economia e di banca. “Hic Rhodus, hic salta” (“Qui [è] Rodi, salta qui”, ossia, in senso traslato, “Dimostraci ciò che affermi, qua e adesso”.