Il valore dei beni rifugio sembra aver consolidato i rialzi raggiunti in seguito all’attacco di Hamas in Israele: a una settimana dalla prima seduta di mercato dall’operazione lanciata dal gruppo islamista, prodotti difensivi come l’oro, i bund tedeschi e i Treasury Usa si trovano su livelli nettamente più altri rispetto a quelli di venerdì 7 ottobre. Lo scenario ritenuto più probabile, allo stato attuale del conflitto, è che l’offensiva lanciata da Israele su Gaza non comporterà il coinvolgimento di altre forze amiche del gruppo islamista Hamas, come Hezbollah e Iran. Sulla base di quest’aspettativa, i movimenti dei mercati sono stati abbastanza contenuti, nonostante l’elevato costo umano del nuovo conflitto, che ha già provocato al 16 ottobre oltre 2.750 vittime palestinesi e 1.400 israeliane.
Al momento di pubblicazione, il bund tedesco decennale ha mostrato un calo nei rendimenti di circa 100 punti base rispetto ai livelli pre-attacco, così come il Treasury Usa di pari durata. L’oro, complici anche i commenti “colomba” da parte di alcuni membri della Fed nel corso della scorsa settimana, viaggia a 1.934,10 dollari l’oncia, in salita dai 1.845 dollari di venerdì 6 ottobre. L’euro, da parte sua ha perso quota sul dollaro, in calo da quota 1,059 a 1,055.
Le ragioni per incrementare la protezione
“Il conflitto in corso tra Israele e Hamas continua a tenere gli investitori sulle spine, anche se finora l’impatto sui mercati finanziari si è limitato a modesti flussi sui beni rifugio e a un forte deprezzamento della valuta locale”, hanno dichiarato a We Wealth gli analisti di Ebury, “l’incertezza ha tuttavia contribuito in parte alla recente sovraperformance del franco svizzero e del dollaro Usa, mentre i rendimenti dei principali titoli di Stato sono scesi dall’inizio dello scontro, il che potrebbe rappresentare un afflusso verso asset a basso rischio”.
Anche per il senior market strategist di IG Italia, Filippo Diodovich, “l’aumento delle tensioni geopolitiche in Medio Oriente” ha provocato “una corsa degli investitori verso i beni safe haven (bond, oro, azioni difensive e valute rifugio)”. La caccia al porto sicuro è destinata a proseguire? “Crediamo che il nostro principale scenario base senza escalation del conflitto con il coinvolgimento di altri paesi (Iran, Lega Araba, Stati Uniti) possa implicare soltanto un effetto positivo di breve termine per le quotazioni di alcuni beni rifugio”, ha dichiarato Diodovich in un’intervista a We Wealth. “Tuttavia, in un’ottica di portafoglio coprendo i rischi geopolitici (eventuale inasprimento degli scontri) e aumentando la diversificazione sugli asset il nostro consiglio è quello di aumentare lievemente l’esposizione verso alcuni safe haven asset”, ha aggiunto Diodovich, “le nostre preferenze sono per un incremento delle posizioni su asset quotati in dollari e franchi svizzeri (valute rifugio che hanno evidenziato le performance migliori) e sull’oro”.
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La variabile petrolio
Il prezzo del petrolio, immediatamente risalito in seguito agli attacchi di Hamas in Israele, è una delle variabili in grado di incidere anche sulle future decisioni delle banche centrali, le variabili più determinanti sull’andamento dei mercati finanziari in questo 2023. Il barile Brent ha ceduto oltre l’1,1% a 89,90 dolllari lunedì 16 ottobre, ma si mantiene su livelli superiori a quelli pre-attacco
del 6,28%. “Mentre una guerra più ampia in Medio Oriente potrebbe innescare ulteriori flussi di beni rifugio verso il dollaro e i titoli di Stato, riteniamo che il rischio maggiore per i mercati risieda forse nelle materie prime”, hanno dichiarato gli analisti di Ebury, “un’escalation del conflitto metterebbe a rischio l’approvvigionamento di petrolio e potrebbe far salire i prezzi, soprattutto se i principali produttori di petrolio, Arabia Saudita e Iran, dovessero prendere le armi. Questo potrebbe rappresentare un ulteriore rischio al rialzo per l’inflazione globale e potrebbe garantire che i tassi di interesse delle banche centrali rimangano più alti, più a lungo”.
Per il momento, l’aspettativa che il ciclo di rialzi sia concluso resta prevalente nelle attese degli investitori.
“Le comunicazioni dei membri della Federal Reserve e della Bce della scorsa settimana hanno suggerito che entrambe le banche centrali hanno probabilmente già concluso i loro cicli di rialzo”, hanno concluso gli analisti di Ebury, “tuttavia, questa posizione potrebbe cambiare piuttosto rapidamente, se i responsabili politici dovessero vedere in un brusco rialzo dei prezzi del petrolio globale una nuova minaccia per il raggiungimento dei loro mandati di inflazione”.