Per esempio, le masse investite nel mercato etf Plus (che contiene anche etc ed etn) di Borsa Italiana nel 2020 hanno superato i 100 miliardi di euro. Ma qual è la categoria di prodotti indicizzati che sta registrando la massima ascesa? Quali sono i caveat da tenere in mente quando si sceglie un etf?
In Borsa italiana sono quotati circa 80 etf tematici. Si va dalle “classiche” energie alternative, a robotica e cyber security passando per “internet in Cina”, blockchain, industria delle batterie, acqua. Il volume di questi fondi inizia a essere di un certo peso: il 50% degli etf ha una dimensione superiore a 150 milioni, un livello decisamente accettabile per garantire liquidità agli investitori. Silvia Bosoni di Borsa Italiana ricorda che la liquidità del mercato degli etf non dipende dal numero degli scambi. La liquidità dipende dalla profondità del libro degli ordini di negoziazione, da quanto è stretto lo spread (ossia in questo caso la differenza fra denaro e lettera – bid e ask – prezzo di acquisto e prezzo di vendita).
Quando si sceglie di investire in etf, è importante controllare la denominazione in valuta degli stessi, per proteggersi dal rischio di cambio. Se si tratta di indici 100% azionari, è fondamentale valutarne il rischio: spesso infatti si tratta di prodotti più concentrati e volatili dell’indice globale di riferimento. Gli exchange traded fund replicano una vasta gamma di indici che variano in termini di selezione e peso dei componenti. La metodologia di selezione dei titoli da replicare può giocare un ruolo importante nelle performance di lungo periodo.
Ancora, al momento di acquistare quote di etf bisogna scegliere se preferire un etf ad accumulazione oppure a distribuzione. Nel primo caso, i proventi derivanti dai titoli sottostanti acquistati (azioni o obbligazioni) sono reinvestiti in automatico, e non vengono distribuiti. Questo, nel caso di investitori istituzionali, risolve il problema del cash da reinvestire allo stacco della cedola o alla distribuzione del dividendo. Come nei piani di accumulo, si sfruttano le proprietà degli interessi composti, che si sommano al capitale, differendo il momento della tassazione (rimandato al giorno del disinvestimento): in tal caso si parla di “total return”. Potrebbe però darsi il caso di un “net total return”, ovvero di un reinvestimento dei proventi al metto di una eventuale imposizione fiscale. Nel secondo caso, si percepiscono periodicamente cedole (nel caso di obbligazioni) o dividendi (nel caso di titoli azionari).
Infine, un caveat sulle imposte. La professoressa Giovanna Zanotti (Università Bocconi e Università degli studi di Bergamo, direttore scientifico di Acepi – Associazione italiana certificati e prodotti di investimento) rileva che da un punto di vista fiscale gli etf non sono strumenti ‘efficienti’. Il motivo è che “le plusvalenze generate dagli etf sono considerate redditi da capitale” e in quanto tali “non sono utilizzabili per compensare eventuali minusvalenze presenti negli zainetti fiscali degli investitori”. Infatti, “in base alla legislazione corrente le minusvalenze possono essere compensate per un periodo massimo di quattro anni, a patto che rientrino nella categoria dei ‘redditi diversi’. Sono invece considerati redditi diversi le plusvalenze generate, a titolo di esempio, dai certificati”.