Il 40% degli italiani, il gruppo prevalente nelle ultime rilevazioni Consob, preferisce soluzioni di investimento a basso rendimento e basso rischio. Vediamo quali sono, quanto rendono in rapporto al rischio e, soprattutto, in che misura dovrebbero rientrare in un portafoglio bilanciato
Dei clienti avversi al rischio e delle possibili soluzioni d’investimento abbiamo parlato con i consulenti Luca Mainò, co-fondatore di Consultique Scf e con Luca Lixi, co-fondatore di Aegis Scf
L’esiguità dei rendimenti offerti dai prodotti finanziari a basso rischio non sembra aver smosso più di tanto la tradizionale avversione al rischio dei risparmiatori italiani. La più recente indagine condotta dalla Consob sulle scelte di investimento delle famiglie italiane, pubblicata nel 2020, aveva mostrato come il 60% dei risparmiatori fosse “totalmente avverso alle perdite”. Di conseguenza, il gruppo più folto, fra le tipologie di investitore italiano è quello che preferisce soluzioni a basso rendimento e basso rischio: appartiene a questa categoria oltre il 40% delle famiglie.
Le soluzioni di investimento “a capitale garantito”, che promettono poco rendimento ma una buona sicurezza ci sono. Tralasciando il conto corrente, si possono inserire in questa categoria i conti deposito, i buoni fruttiferi postali, le obbligazioni i cui emittenti sono particolarmente “solidi”, e, ancora, i certificati a capitale garantito.
Ma non sempre chi sceglie queste soluzioni tiene in considerazione tutti i fattori rilevanti: a cominciare da quello più discusso negli ultimi mesi, l’aumento del costo della vita. Con un tasso d’inflazione che potrebbe mantenersi più elevato rispetto al passato per alcuni anni il semplice mantenimento del potere d’acquisto dei propri risparmi diventa più complicato.
Dei clienti avversi al rischio e delle possibili soluzioni d’investimento abbiamo parlato con i consulenti Luca Mainò, co-fondatore di Consultique Scf e con Luca Lixi, co-fondatore di Aegis Scf.
Il punto di partenza dell’investitore, prima ancora della scelta del prodotto, dovrebbe essere una corretta valutazione dei rischi contro i quali ci si vuole coprire. Scegliere la “certezza” del conto corrente, ad esempio, può essere utile per affrontare spese impreviste senza correre il rischio di dover vendere titoli finanziari nel momento in cui sono in perdita. Esagerare con questa forma di “prudenza”, però, non è la scelta ottimale. “L’investitore eccessivamente avverso al rischio è una tipologia di soggetto che molto spesso cerca i consulenti e le Scf che prestano consulenza fully independent”, ha dichiarato a We Wealth Luca Mainò, “l’elevata avversione al rischio è, agli occhi di questi investitori, utile ad affrontare criticità non previste che potrebbero verificarsi in futuro. Serve cioè a difendersi da situazioni inaspettate che potrebbero creare problemi”. Tuttavia, “affrontare eventuali casi avversi con il proprio patrimonio può rappresentare un’allocazione subottimale rispetto ad una consulenza che identifica i potenziali rischi (premorienza, disabilità, malattia ecc.) e che seleziona soluzioni efficienti per coprire i rischi stessi”, tipicamente specifiche assicurazioni.
“Tutti abbiamo esigenze di liquidità, o di deposito di capitali da tenere su strumenti a breve termine e bassissimo rischio; sia per far fronte alle nostre esigenze di spesa, sia per potenziali emergenze o grandi acquisti programmati”, ha dichiarato Lixi, “in una pianificazione finanziaria corretta, devono infatti convivere la necessità di protezione e sicurezza e il desiderio di guadagno, che dev’essere soddisfatta con appropriati portafogli di investimento per il lungo termine, con una rilevante componente azionaria”.
Il ruolo degli investimenti “a basso rischio”
Le varie opzioni d’investimento che andremo ad analizzare limiteranno l’erosione del potere d’acquisto, ma difficilmente produrranno rendimenti reali (ossia al netto dell’inflazione). “Pur non rappresentando una fonte di rendimento, dati i bassi tassi e le alte aspettative di inflazione, tali investimenti possono comunque essere attraenti e utilizzati all’interno dell’asset allocation”, ha precisato Mainò, “se una parte di portafoglio è investito in strumenti più rischiosi, come gli strumenti azionari, queste soluzioni possono stabilizzare il portafoglio nelle fasi di stress o per gestire la liquidità in attesa di essere investita”.
Il titolo di Stato “sicuro”. A seconda della durata dell’obbligazione o del titolo selezionato, il titolo di Stato può offrire addirittura rendimenti nominali negativi – viene restituito meno denaro di quello investito. “Un titolo di Stato particolarmente solido, ad esempio tedesco, presenta ottime garanzie in termini di restituzione, ma il capitale che verrà restituito a scadenza sarà inferiore a quello investito in origine, anche vincolandolo per trent’anni, a causa dei tassi di interesse nominali negativi praticamente su tutta la curva”, ha dichiarato Mainò. “Come prima cosa, occorre davvero accettare intimamente l’equazione ‘Rischio = Rendimento’, e non dimenticarla mai”, ha aggiunto Lixi, per far questo, è sufficiente prendere in esame il rendimento offerto dall’asset class senza rischio per eccellenza, ovvero il titolo di Stato tedesco. Mentre scrivo, il rendimento offerto dal titolo decennale è -0,36%. In poche parole, negli ultimi anni il ‘rischio zero’ non offre un ‘rendimento zero’, ma addirittura un rendimento negativo”. Lixi ha voluto ricordare che le obbligazioni non sono strumenti privi di rischio: fra le altre cose vanno considerati gli effetti del tasso di cambio così come gli effetti del ritiro del supporto delle banche centrali che farà salire i rendimenti, ma anche il prezzo delle obbligazioni emesse nel periodo del supporto anti-pandemia. “Il mio suggerimento è di considerare l’obbligazionario come un’asset class necessaria per ridurre il rischio complessivo di portafoglio, e per far questo prediligere il governativo a breve termine e di buona qualità, consapevoli dei rendimenti comunque bassissimi o nulli”, ha dichiarato Lixi, “la loro utilità sarà più chiara durante una potenziale fase di mercato ribassista e di risk-off sull’azionario, quando questi titoli potrebbero comunque essere acquistati indipendentemente dai rendimenti offerti”.
Conti deposito e buoni fruttiferi postali. Nel primo caso parliamo di somme di denaro vincolate per un determinato periodo di tempo: la rinuncia produce un rendimento tendenzialmente superiore a quello del Btp di pari durata (assumiamo di non essere interessati a vendere prima della scadenza il titolo di Stato). Il conto deposito, inoltre, non funziona molto per far fronte a spese impreviste, dal momento che il ritiro anticipato può prevedere penalizzazioni. “Si possono spuntare dei tassi di interesse nominali migliori vincolando il capitale su prodotti come i buoni fruttiferi postali, i conti deposito o le gestioni separate”, ha affermato Mainò, “in questi casi i tassi di interesse potrebbero essere nominalmente positivi, anche al netto della tassazione, ma molto probabilmente il tasso reale a scadenza sarà negativo, dato il livello di aspettative di inflazione per i prossimi anni superiore agli anni appena trascorsi. In altre parole, pur riottenendo il capitale ed una quota di interessi, il potere di acquisto alla scadenza sarà inferiore al potere di acquisto del capitale investito”.
Obbligazioni societarie e bancarie; certificati. In questo caso parliamo rispettivamente di una asset class obbligazionaria che a fronte di rischi ancora relativamente contenuti offre rendimenti un po’ superiori a quelli citati in precedenza. Quanto ai certificati, si tratta di prodotti strutturati che possono prevedere il capitale protetto – caratteristica che li rende attraenti agli occhi degli investitori avversi al rischi. “In questi casi, attraverso l’assunzione di un rischio di controparte superiore rispetto a quello dei titoli di stato”, perché una società o una banca falliscono con maggiore frequenza rispetto a un Paese, “si possono raggiungere dei rendimenti più elevati” ha affermato Mainò, “come avviene nei certificati a capitale protetto, per la presenza di condizionalità delle cedole, in grado di aumentarne l’importo potenziale”.
In conclusione, un approccio equilibrato alla gestione del rischio in portafoglio evita sia di caricarsi eccessivamente di azioni, così come delle soluzioni “tranquille” sopra indicate. “Il rendimento reale, dopo aver depurato il rendimento nominale dall’inflazione, di strumenti come il conto corrente, i vari conti di depositi o i buoni postali è pesantemente negativo”, ha ricordato Lixi, “l’unica certezza per il risparmiatore, ad oggi, è quella di perdere potere d’acquisto con questi strumenti, mentre comunque è esposto a dei rischi che spesso sottovaluta (rischio emittente, rischio credito e rischio rialzo dei tassi, soprattutto sui Btp a media e lunga scadenza). Pertanto, il consiglio generico è quello di destinare a strumenti di liquidità l’importo necessario per far fronte a spese di breve termine e di emergenza, accettando di buon grado che non è da questa porzione di patrimonio che ci si può attendere dei rendimenti”.