Venture Capital, i fondi rivedono la propria strategia

Lorenzo Magnani
Lorenzo Magnani
9.5.2022
Tempo di lettura: 2'
Il venture capital al tempo del covid: nel mondo un fondo di investimento su due ha cambiato le proprie strategie, in Italia “solo” il 38,5%

Nasce il Bureau of Entrepreneurial Finance (BEF), un centro permanente voluto dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal Politecnico sulle tematiche di finanza imprenditoriale

Secondo un report sul venture capital del BEF, rispetto al pre-covid ora i venture capitalist tendono a investire in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup

I settori che hanno visto i maggiori aumenti degli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (+1%)

Nulla è più come prima, anche nell'universo del risparmio gestito. I professionisti degli investimenti hanno infatti dovuto adattarsi al nuovo ambiente d'investimento, venutosi a creare con la pandemia. E così, lato mercati privati, a livello globale i fondi di venture capital hanno rivisto le proprie strategie, investendo in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup o privilegiando settori come la cura della salute, l'energia e l'ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari a scapito dei servizi digitali e della distribuzione commerciale.
Sono alcune delle evidenze sottolineate dal Report sul Venture Capital e il Covid19 presentato lunedì al Politecnico di Milano durante il lancio del Bureau of Entrepreneurial Finance (BEF), un centro permanente voluto dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal Politecnico di Torino.

Al sondaggio, effettuato nella seconda metà del 2021 hanno risposto oltre 500 fondi, con un'ottima copertura di quelli europei (che hanno aumentato gli investimenti del 2%) e nordamericani (che invece li hanno diminuiti dell'1%).

A livello globale, un fondo su due (52%) ha dichiarato di avere cambiato le proprie strategie di investimento dopo il Covid, anche solo moderatamente. Percentuale che risulta ben più bassa per i fondi europei (che non hanno modificato nulla nel 57% dei casi) e ancor di più (61,5%) per quelli italiani, probabilmente in ragione del fatto che tendono maggiormente a investire cross-border, cioè non nel Paese di appartenenza (il 90,2% di chi fa investimenti cross-border - in Italia l'83,5% - non li ha ridotti a favore di interventi domestici).
Un altro aspetto interessante è la diminuzione del numero di investimenti in seed stage, e più in generale nelle fasi iniziali del ciclo di vita della startup, a favore di momenti di sviluppo più maturi (si va dal +1,2% dell'early e late stage al +4,4% nel mid stage), tendenza maggiormente evidente nei fondi più piccoli.

“È aumentata ovunque l'incertezza e dunque gli investitori preferiscono traslare il focus di investimento verso imprese più mature e con un profilo di rischio più contenuto - spiega Elisa Ughetto del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, tra i curatori dello studio e co-direttrice del BEF insieme ad Annalisa Croce del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano -. Inoltre, sempre in risposta ai cambiamenti repentini di questi ultimi anni, gli investitori si fidano meno che in passato del loro istinto (gut feeling) e nelle decisioni si basano maggiormente su aspetti oggettivi, come l'ambiente economico favorevole, il business model, gli eventuali incentivi pubblici”. “Sono anche cambiate le strategie di investimento - aggiunge Annalisa Croce -: ora si prediligono settori industriali che hanno avuto buone performance durante la pandemia, come l'healthcare e il farmaceutico, mentre risultano in calo settori tradizionalmente oggetto di ingenti investimenti da parte di fondi di venture capital come il settore ICT”.

I settori che hanno visto aumentare gli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l'energia e l'ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (tutti a +1%), la formazione e i semiconduttori (+0,6), mentre risultano in calo i servizi digitali (-1,4%), inclusi quelli legati a internet e mobile (-1%), e la distribuzione commerciale (-1,6%).

I fondi hanno anche ridotto le proprie aspettative sui ritorni attesi (IRR) e sono diventati più severi, in termini di multiplo richiesto, nel valutare le startup. In sostanza, si assumono un rischio inferiore a fronte di un ritorno atteso più basso (-1.3% in media): la fascia maggioritaria, pur in calo di due punti percentuali, rimane con un target IRR tra il 20 e il 29%, ma non manca, ed è in leggerissima crescita, chi si aspetta un guadagno tra il 40 e il 50%. Persino la valutazione delle startup già presenti in portafoglio ha subìto una rimodulazione: nel 40% dei casi si è ridotta (nel 9% anche in maniera significativa) poiché, nello scenario mutato, ci si attende una diminuzione del valore al momento dell'uscita del fondo.
Laureato in Finanza e mercati Internazionali presso l’Università Cattolica di Milano, nella redazione di We Wealth scrive di mercati, con un occhio anche ai private market. Si occupa anche di pleasure asset, in particolare di orologi, vini e moto d’epoca.

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