Venture Capital, i fondi rivedono la propria strategia

Nasce il Bureau of Entrepreneurial Finance (BEF), un centro permanente voluto dalla School of Management del Politecnico di Milano e dal Politecnico sulle tematiche di finanza imprenditoriale
Secondo un report sul venture capital del BEF, rispetto al pre-covid ora i venture capitalist tendono a investire in momenti più avanzati del ciclo di vita delle startup
I settori che hanno visto i maggiori aumenti degli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l’energia e l’ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (+1%)
Al sondaggio, effettuato nella seconda metà del 2021 hanno risposto oltre 500 fondi, con un'ottima copertura di quelli europei (che hanno aumentato gli investimenti del 2%) e nordamericani (che invece li hanno diminuiti dell'1%).
A livello globale, un fondo su due (52%) ha dichiarato di avere cambiato le proprie strategie di investimento dopo il Covid, anche solo moderatamente. Percentuale che risulta ben più bassa per i fondi europei (che non hanno modificato nulla nel 57% dei casi) e ancor di più (61,5%) per quelli italiani, probabilmente in ragione del fatto che tendono maggiormente a investire cross-border, cioè non nel Paese di appartenenza (il 90,2% di chi fa investimenti cross-border - in Italia l'83,5% - non li ha ridotti a favore di interventi domestici).
“È aumentata ovunque l'incertezza e dunque gli investitori preferiscono traslare il focus di investimento verso imprese più mature e con un profilo di rischio più contenuto - spiega Elisa Ughetto del Dipartimento di Ingegneria Gestionale e della Produzione del Politecnico di Torino, tra i curatori dello studio e co-direttrice del BEF insieme ad Annalisa Croce del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano -. Inoltre, sempre in risposta ai cambiamenti repentini di questi ultimi anni, gli investitori si fidano meno che in passato del loro istinto (gut feeling) e nelle decisioni si basano maggiormente su aspetti oggettivi, come l'ambiente economico favorevole, il business model, gli eventuali incentivi pubblici”. “Sono anche cambiate le strategie di investimento - aggiunge Annalisa Croce -: ora si prediligono settori industriali che hanno avuto buone performance durante la pandemia, come l'healthcare e il farmaceutico, mentre risultano in calo settori tradizionalmente oggetto di ingenti investimenti da parte di fondi di venture capital come il settore ICT”.
I settori che hanno visto aumentare gli investimenti sono la cura della salute (+2,4%), l'energia e l'ambiente, il farmaceutico e i servizi finanziari (tutti a +1%), la formazione e i semiconduttori (+0,6), mentre risultano in calo i servizi digitali (-1,4%), inclusi quelli legati a internet e mobile (-1%), e la distribuzione commerciale (-1,6%).
I fondi hanno anche ridotto le proprie aspettative sui ritorni attesi (IRR) e sono diventati più severi, in termini di multiplo richiesto, nel valutare le startup. In sostanza, si assumono un rischio inferiore a fronte di un ritorno atteso più basso (-1.3% in media): la fascia maggioritaria, pur in calo di due punti percentuali, rimane con un target IRR tra il 20 e il 29%, ma non manca, ed è in leggerissima crescita, chi si aspetta un guadagno tra il 40 e il 50%. Persino la valutazione delle startup già presenti in portafoglio ha subìto una rimodulazione: nel 40% dei casi si è ridotta (nel 9% anche in maniera significativa) poiché, nello scenario mutato, ci si attende una diminuzione del valore al momento dell'uscita del fondo.