Il “falco” del board, Robert Holzmann: “Potremmo fare un altro o altri due rialzi”, ha dichiarato in seguito alla pubblicazione dei dati
Ad agosto l‘inflazione dell’Eurozona ha infranto le speranze di nuovi progressi verso gli obiettivi della Bce: secondo l’ultima stima flash pubblicata da Eurostat il tasso generale è rimasto invariato su base annua al 5,3%, nonostante il calo dei prezzi energetici rispetto all’agosto 2022. Il dato è stato superiore alle attese degli economisti sondati dal Wsj, che avevano previsto un calo al 5,1%. L’inflazione di fondo, escludendo energia, alimenti e tabacchi, è scesa dal 5,5 al 5,3%.
Il confronto su base mensile ha messo in luce come ci sia stato un ritorno agli aumenti dei prezzi, responsabile della battuta d’arresto: rispetto a luglio, i prezzi sono mediamente aumentati dello 0,6%, mentre nel confronto fra luglio e giugno si era osservato un calo dello 0,1%.
I costi energetici, in particolare, sono nuovamente aumentati rispetto al mese precedente del 3,2%, invertendo la tendenza verso la riduzione. In generale l’andamento mensile dell’inflazione di fondo è tornato ad accelerare, con un aumento dello 0,3%, dopo il dato invariato di luglio. Nessuna componente principale del paniere, con l’eccezione degli alimenti non processati, ha osservato una riduzione di prezzo rispetto a luglio – al contrario di quanto osservato nel mese precedente, decisamente ricco di “segni meno”.
La notizia positiva è che i rincari nel settore dei servizi, quelli più indicativi di quanto le imprese stiano adeguando i prezzi ai maggiori costi delle retribuzioni, sono rallentati ad agosto: da un tasso mensile dell’1,3% a uno dello 0,2%.
Prima della pubblicazione europea, sono stati diffusi dati poco incoraggianti sull’andamento dell’inflazione in Germania e Spagna, dove ad agosto l’inflazione è rallentata di poco, mentre in Francia l’andamento dei prezzi è tornato ad accelerare.
Eurostat, in linea con le aspettative, ha comunicato anche che il tasso di disoccupazione nell’Eurozona è rimasto stabile al 6,4% a luglio, un livello che rimane sul minimo storico osservato per la prima volta in aprile, ma con 73mila disoccupati in più.
Dagli Stati Uniti nessuna sorpresa dal dato sull’inflazione Pce di luglio, che come da attese è salita dal 4,1 al 4,2%.
Cosa potrà significare per la Bce
L’approccio “dipendente dai dati” della Banca centrale europea, che si riunirà il prossimo 14 settembre per decidere se proseguire ancora con i rialzi dei tassi o se restare in attesa, difficilmente potrà concludere dalla lettura di questi dati grandi rassicurazioni sul raffreddamento dei prezzi nell’Eurozona. Il livello storicamente basso della disoccupazione favorisce la corsa al rialzo delle retribuzioni, in un contesto nel quale i costi sostenuti dalla popolazione continuano ad essere in aumento – complici anche elementi esogeni come i rincari dell’energia.
“Non ho preso una decisione perché non ho tutti i dati, ma non escludo di procedere a un rialzo”, ha detto il governatore della banca centrale austriaca e membro del board Bce, Robert Holzmann, al Reuters Global Markets Forum, commentando a caldo i dati sull’inflazione di agosto, “non siamo ancora al livello massimo (per i tassi); potrebbe essere che procederemo con un altro o altri due rialzi”. Guardando più avanti Holzmann ha aggiunto alcune considerazioni sulle tempistiche dell’inversione di rotta, con i primi tagli dei tassi: “Se quest’anno ci spostassimo al di sopra del 4%” con il tasso dei depositi, attualmente al 3,75%, “e l’inflazione scendesse, allora potremmo essere in grado, forse, di cambiare già per abbassare i tassi nel 2024. Se così non fosse, dovremo aspettare il 2025”.
Secondo Capital Economics, comunque, questa lettura non potrà spostare di molto gli equilibri della prossima riunione: “La piccola sorpresa al rialzo dell’inflazione complessiva della zona euro in agosto è stata interamente dovuta all’energia, mentre il tasso di fondo è sceso. Non pensiamo che questi dati facciano pendere l’ago della bilancia dell’opinione della Bce verso un rialzo o una sospensione durante la riunione”, ha dichiarato Jack Allen-Reynolds, vice capo economista per l’Eurozona di Capital Economics.
La reazione immediata degli investitori, con l’indebolimento dell’euro sul dollaro (-0,5% a 1,0870), sembrano testimoniare un’aspettativa più forte verso il mantenimento degli attuali livelli dei tassi Bce, in occasione del prossimo meeting.
“Il dibattito tra falchi e colombe è destinato a riaccendersi in vista della prossima riunione della BCE, la cui intensa politica rialzista ha notevolmente contribuito al raffreddamento della crescita economica dell’Eurozona”, ha commentato Richard Flax, cio di Moneyfarm, “per il meeting di settembre, complici i timori di deflazione, i mercati hanno iniziato a prezzare una possibile pausa nel ciclo di rialzi dei tassi, ma il fatto che l’inflazione resti su livelli storicamente elevati rende difficile prevedere con certezza un’inversione di politica monetaria”.
Nel frattempo i verbali sull’ultima riunione della Bce a luglio hanno offerto uno spaccato dei diversi orientamenti dei membri del Consiglio direttivo: da un lato, le colombe che avvertono sui rischi di una possibile stagflazione eventualmente favorita da interventi di inasprimento monetario eccessivo e, dall’altro, i falchi che propendono per la necessità di nuove azioni. Alla fine, come noto, si è optato per l’approccio dipendente dai dati, che avrebbe tenuto la porta aperta a nuovi rialzi in caso di segnali deludenti sul fronte dell’inflazione.
Bce, dai verbali spunta il timore della “stagflazione”
“Sono necessari ulteriori dati sull’inflazione dei prossimi mesi affinché il Consiglio direttivo possa confermare la tendenza al ribasso dell’inflazione”, si legge nel verbale, “è stato sottolineato che l’inflazione si è mantenuta al di sopra del 2% per un certo periodo di tempo e non ci si può aspettare che torni rapidamente all’obiettivo senza ulteriori azioni”.
“Alla luce delle prospettive di inflazione ancora elevate e di quelle di crescita più deboli, è stata sollevata anche la preoccupazione che l’economia possa entrare in una fase di stagflazione, in contrasto con uno scenario più favorevole di atterraggio morbido”, ha proseguito più avanti la minute, ma “alla luce […] degli ingenti costi che comporterebbe il contenimento dell’inflazione una volta che questa si fosse consolidata, si è sostenuto come sia preferibile inasprire ulteriormente la politica monetaria piuttosto che non farlo a sufficienza”. A luglio la Bce ha, infatti, innalzato di altri 25 punti base i tassi di riferimento.
Per dirimere i dubbi fra falchi e colombe del consiglio direttivo, si è deciso di prendere tempo con l’approccio dipendente dai dati. “Prima di decidere di interrompere il ciclo di inasprimento, il Consiglio direttivo aveva bisogno di segnali più chiari sulla possibilità che l’inflazione convergesse verso l’obiettivo una volta svaniti gli effetti dei recenti shock”.
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