Le ultime novità normative sui Pir sono contenute nella Legge di
Bilancio 2022. Che ha potenziato lo strumento, sia nella sua versione base sia
in quella alternativa (che punta sull’economia reale delle società non quotate
in Borsa). In pratica, aumentando il limite di investimento annuo sul quale si
può godere della totale esenzione fiscale e rimuovendo il divieto di accumulo
per il singolo investitore. La legge ha anche esteso fino al prossimo dicembre il
credito di imposta sulle minusvalenze per la versione alternativa (però in
questo caso con parametri meno convenienti).
Cosa prevede la normativa di riferimento sui Pir ordinari
La Legge di Bilancio 2022 può essere considerata la normativa di riferimento più attuale sulla disciplina dei Pir. Le novità, per quanto riguarda i Pir ordinari sono, innanzitutto un innalzamento delle soglie di investimento, da 30.000 a 40.000 euro annuali e da 150.000 a 200.000 euro complessivi, al fine di attrarre ulteriore risparmio per finanziare a lungo termine le imprese private italiane.
I Pir ordinari sono stati introdotti per la prima volta con la Legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016, articolo 1, commi 88-114) che stabiliva le agevolazioni fiscali volte a incoraggiare investimenti a lungo termine (per almeno cinque anni) nelle imprese e in particolar modo nelle pmi italiane, colmando un gap atavico che impedisce al risparmio privato di fluire verso l’economia italiana. Secondo le stime più affidabili, a fine 2021 l’aum di questo mercato superava i 20 miliardi di euro.
Esenzione fiscale: cosa dice la legge
Per beneficiare dell’esenzione fiscale i piani individuali di risparmio devono essere detenuti per almeno 5 anni e devono investire nel capitale di imprese italiane e europee nella misura del 70% del portafoglio (e del 30% di questo 70%, ovvero il 21% del paniere complessivo in aziende fuori dal Ftse/Mib, ovvero pmi).
Ove ceduti prima dei cinque anni, i redditi realizzati attraverso la cessione e quelli percepiti durante il periodo minimo di investimento sono soggetti all’imposta sostitutiva ordinaria (26%), unitamente agli interessi, senza applicazione di sanzioni, e il relativo versamento va effettuato entro il giorno 16 del secondo mese successivo alla cessione. In caso di rimborso o scadenza dei titoli oggetto di investimento prima dei cinque anni, le somme conseguite vanno reinvestite negli strumenti finanziari citati entro 90 giorni. Nel caso dei Pir ordinari ciascuna persona fisica non può aprire più di un piano di risparmio a lungo termine e che ciascun piano di risparmio a lungo termine non può avere più di un titolare. L’attuale versione dei Pir ordinari è la 3.0, che supera anche l’inciampo della versione 2.0, quando era stato introdotto l’obbligo di destinare una quota del 3,5% all’Aim e la medesima percentuale al vc: un pasticcio che ha ingessato il mercato per mesi.
La normativa sui Pir alternativi
La legge di Bilancio 2022 introduce molte novità anche sulla disciplina dei Pir “alternativi”, ovvero i Pir costituiti a decorrere dal primo gennaio 2020 con il Decreto Rilancio che investono prevalentemente in pmi, (diverse da quelle inserite negli indici Ftse Mib e Ftse Mid Cap della Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati), per lo più destinati alla clientela private.
In relazione ai Pir alternativi, innanzitutto vengono superati i precedenti limiti soggettivi alla detenzione (secondo cui ciascuna persona fisica non poteva detenere più di un Pir ordinario e più di un Pir alternativo, né poteva detenere un Pir in contitolarità) e si dispone invece la possibilità della contitolarità dei Pir alternativi e della contemporanea detenzione di più Pir alternativi, in aggiunta a un (solo) Pir ordinario. In secondo luogo, vengono prorogate a tutto il 2022 le misure relative alla possibilità di trasformare in credito d’imposta le eventuali minusvalenze realizzate sulla cessione (o sul rimborso) di strumenti finanziari qualificati.
Questa eccezione era stata introdotta per la prima volta con la legge di bilancio 2021: per i Pir “alternativi” costituiti dal primo gennaio 2021, la legge aveva previsto un credito d’imposta pari alle eventuali minusvalenze derivanti dagli investimenti in strumenti finanziari qualificati effettuati entro il 31 dicembre 2021, “a condizione che gli stessi strumenti finanziari fossero detenuti per almeno cinque anni e che il credito d’imposta non avesse ecceduto il 20% delle somme investite negli strumenti finanziari medesimi”. Il credito d’imposta è utilizzabile in dieci quote annuali di pari importo e si configura di fatto come un beneficio fiscale per la persona fisica che abbia investito (e accumulato la minusvalenza) nel Pir alternativo. L’obiettivo di tale previsione era incentivare nuovi investimenti in aziende italiane in un periodo di particolare stress economico e di probabile debolezza degli utili aziendali. Ma il carattere di straordinarietà è stato traslato al 2022, anno che si sta rivelando altrettanto, se non più, controverso del precedente.
La legge di bilancio 2022 ha dunque esteso il predetto meccanismo agli investimenti in strumenti finanziari qualificati effettuati nel corso del 2022, riducendo il credito d’imposta dal 20 al 10% delle somme investite ed estendendo il periodo del relativo utilizzo da 10 a 15 anni.
Una storia normativa frammentaria
La storia normativa dei Pir è costellata di inciampi e repentine e continue modifiche che non contribuiscono a consolidare un ambiente virtuoso. La disciplina dei Pir ha lo scopo di canalizzare il risparmio delle famiglie – che ormai ammonta a 5mila miliardi di euro, di cui 2mila miliardi del tutto inerti sui conti correnti come ci ricorda mese dopo mese Abi – verso l’economia reale, mediante l’investimento in strumenti finanziari di imprese “radicate sul territorio italiano”. L’esenzione dei redditi di capitale e diversi maturati sugli strumenti finanziari sottostanti al Pir (oltre che l’esenzione dall’imposta di successione), rappresenta un indubbio appeal rispetto a forme concorrenti di investimento.
Tuttavia nella fase attuale, dominata da profonda incertezza e in procinto di una potenziale recessione, gli investitori potrebbero essere reticenti anche a investire sull’economia reale.