È possibile fruire delle agevolazioni sull’acquisto della prima casa anche ove uno solo dei coniugi abbia posto la residenza nell’immobile agevolato a condizione che l’abitazione risulti come residenza della famiglia
L’acquisto in comunione estendendosi ope legis anche all’altro coniuge, comporta, nella sostanza, la fruizione da parte di entrambi i partner del beneficio tributario sul medesimo immobile
In tema di imposta di registro (nonché di Iva) e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia.
Da ciò ne deriva che, in caso di comunione legale tra coniugi, ai fini del bonus prima casa, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare; e non assume rilievo la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica nel medesimo comune ove è ubicata l’abitazione.
Ciò vale, tanto in caso di acquisto separato che di acquisto congiunto.
Sono questi alcuni dei principi ricavabili da una recente ordinanza della Corte di Cassazione n. 3123/2023, con cui i giudici di legittimità hanno chiarito che è possibile fruire delle agevolazioni sull’acquisto della prima casa anche ove uno solo dei coniugi abbia posto la residenza nell’immobile agevolato, a condizione che l’abitazione risulti come “residenza della famiglia”; circostanza, questa, che viene in rilievo quando tra i coniugi vi è una gestione dei beni in comunione legale.
Comunione legale e bonus prima casa
L’acquisto in comunione legale si estende ex lege alla posizione dell’altro coniuge, a prescindere dal proprio personale apporto, anche finanziario.
Siffatta circostanza, secondo i giudici, ai fini del bonus sull’acquisto della prima casa, rende sufficiente che anche uno solo dei coniugi rispetti il requisito soggettivo della residenza nel comune del luogo in cui si trova l’immobile.
Quando non opera il bonus?
Non è possibile fruire dei benefici relativi all’acquisto della prima casa alle condizioni sopra descritte, ove, come messo in evidenza dalla Corte, l’acquisto del diritto assuma una connotazione “egoistica” (o “individualistica”) in capo a ciascuno dei coniugi, e i bisogni della famiglia non sono riferiti al diritto del nucleo familiare in quanto tale.
Ciò considerato, è appena il caso di mettere in evidenza alcuni chiarimenti resi dall’Agenzia delle entrate nell’interpello n. 400/2022, ad avviso della quale, come noto: tra le condizioni per fruire delle agevolazioni “prima casa” vi è, tra l’altro, quella secondo cui nell’atto di acquisto l’acquirente deve dichiarare di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo.
Ciò comporta che, se:
- per un verso il regime di comunione permette ad entrambi i coniugi di fruire dell’agevolazione, anche se solo uno risiede effettivamente nel comune ove l’immobile è locato, perché il regime di comunione determina che l’immobile possa essere assimilato a residenza della famiglia
- per un altro verso, il regime di comunione implica che il coniuge non potrà fruire del medesimo bonus su altri immobili, se ha fruito, per via della comunione, di detto bonus, seppur relativamente alla sua quota.
L’acquisto in comunione, secondo l’Agenzia, estendendosi ope legis anche all’altro coniuge, comporta, nella sostanza, la fruizione anche da parte di quest’ultimo del beneficio tributario; pertanto, permanendo detta situazione di titolarità, per entrambi i coniugi è preclusa la possibilità di avvalersi di nuovo dei benefici “prima casa”.