Cosa succede quando l‘intelligenza artificiale entra in gioco? Nel celebre film Io Robot (2004) tratto dall’omonima raccolta di racconti di Isaac Asimov, il protagonista, interpretato da Will Smith, domanda a un automa se esso sia in grado di “scrivere una sinfonia” o di “trasformare una tela bianca in un capolavoro”.
Se in passato la risposta a questa domanda poteva sembrare ovvia al di fuori di un contesto fantascientifico, oggi non lo è più. Ogni giorno scopriamo infatti nuove applicazioni, utilizzi e capacità delle intelligenze artificiali che ci sorprendono, affascinano e, tuttavia, destano anche preoccupazione e sconcerto.
Tra i nuovi interrogativi, vi è quello di comprendere da dove le cosiddette artificial intelligence (AI) generative prendano “l’ispirazione”. Esse producono davvero contenuti originali oppure sono responsabili, come riferito dalla Author’s Guild (associazione di categoria degli scrittori americani, tra i quali figurano autori come George R.R. Martin e Jonathan Franzen), di un “furto sistematico di massa” di opere protette dal diritto d’autore?
In due casi giudiziari, rispettivamente in Cina e negli Stati Uniti, si trovano spunti interessanti riguardo a una possibile risposta.
Come il Tribunale di Pechino ha ridisegnato i confini del diritto d’autore
La prima vicenda riguarda Mr. Li, il quale aveva creato un’immagine attraverso il software generativo Stable diffusion. Un blogger, poi, aveva utilizzato questa immagine all’interno del proprio sito senza autorizzazione dell’autore. Da questi fatti è derivata un’azione legale di fronte al Tribunale di internet di Pechino: qui, Mr. Li chiedeva tutela dell’immagine ai sensi della legge sul diritto d’autore nazionale, ottenendo dai giudici, nel novembre 2023, una pronuncia sorprendentemente favorevole.
I giudici, infatti, ritennero che l’originalità dell’opera, pur realizzata tramite Stable diffusion, potesse essere derivata dalla cura, attenzione e investimento intellettuale del suo autore nello specificare e modificare i cosiddetti prompt – frasi, domande o istruzioni che vengono fornite a un’intelligenza artificiale per generare la risposta desiderata.
Il Tribunale ha così condannato il blogger, che dovrà presentare delle scuse pubbliche verso l’attore e risarcire i danni per un ammontare di 500 yuan (equivalenti a 70,43 dollari) oltre alle spese legali.
La pionieristica sentenza del Tribunale di internet di Pechino ha attirato immediatamente l’attenzione del settore a livello internazionale, suscitando dibattiti e riflessioni.
Infatti, se è vero da un lato che il grado di precisione, completezza ed efficacia dei prompt sia correlato al livello di unicità e pertinenza del risultato generato, è comunque importante tenere in considerazione che le intelligenze artificiali utilizzano dei database di informazioni e fonti (sui quali spesso esiste un diritto d’autore) dai quali traggono, seppur per “via algoritmica”, una capacità creativa.
L’istruzione dell’intelligenza artificiale: il caso Ny Times contro OpenAI
Su temi connessi al caso cinese verte la causa intentata, nel dicembre 2023, dal New York Times contro OpenAI (sviluppatore del celebre ChatGpt) e Microsoft (che ha integrato tale software nel motore di ricerca Browse with bing).
Secondo il Times, infatti, ChatGpt sarebbe stato “addestrato” a dare risposte e informazioni ai suoi utenti utilizzando milioni di articoli prodotti dalla redazione della nota testata giornalistica senza tuttavia rendergliene merito (né remunerazione).
La domanda, pur non includendo ancora una richiesta di risarcimento quantificata, parla di miliardi di dollari di danni causati dal minor numero di persone che accederebbero al sito web del giornale e dal fatto che ChatGpt includa gratuitamente anche contenuti che, normalmente, sarebbero accessibili solo agli abbonati, abbattendo il paywall della casa editrice.
Persino le recensioni dei prodotti pubblicate dalla redazione di Wirecutter, sito web di proprietà del Ny Times, sarebbero inclusi nel database a cui attinge ChatGpt, private tuttavia dei referral link che consentirebbero agli autori delle recensioni di guadagnare royalties sulle vendite generate.
OpenAI si è difesa sostenendo che le attuali leggi americane sul diritto d’autore non vieterebbero l’addestramento di un’intelligenza artificiale, quand’anche tale addestramento sia effettuato con opere coperte dal copyright.
La Corte Distrettuale di Manhattan non si è ancora pronunciata sulla vicenda.
Tuttavia, è lo stesso United States Copyright Office (Usco) a fornire degli elementi utili per cercare di prevederne gli esiti, con la pubblicazione (16 marzo 2023) di un report contenente delle nuove linee guida circa il rapporto tra intelligenze artificiali e diritto d’autore.
L’approccio conservativo dello Us Copyright Office sul caso Ny Times contro OpenAI
Il report precisa innanzitutto che il copyright protegge esclusivamente opere che sono il risultato della creatività umana e, pertanto, non sarebbe possibile che il termine “autore” possa includere entità diverse dagli esseri umani.
L’Usco ha poi specificato che le opere create con l’ausilio dell’intelligenza artificiale vanno valutate caso per caso. Questo per poter verificare se i cosiddetti “traditional elements of autorship” siano stati prodotti dal software o da un individuo.
Quanto al ruolo dei prompt, l’Usco sembra essere molto più restrittivo dei giudici cinesi e sottolinea come, per quanto queste istruzioni siano dettagliate, è l’intelligenza artificiale a scegliere come implementarle e a determinare l’output, rendendo il risultato finale non proteggibile con il diritto d’autore.
Tuttavia, l’Usco aggiunge che non è a priori da escludere che opere generate dall’intelligenza artificiale siano proteggibili con il diritto d’autore; è questo il caso, per esempio, di una riorganizzazione o selezione sufficientemente creativa o di una modifica sostanziale del materiale generato dal software. È interessante confrontare il report dell’Usco con un recentissimo documento pubblicato dallo US Patent and Trademark Office (Uspto), riguardante il rapporto tra IA e proprietà industriale. Se infatti, da un lato, sono molti i punti in comune con il documento dell’Usco, dall’altro emerge una sorprendente convergenza con i giudici cinesi riguardo alla capacità creativa del prompt.
L’intelligenza artificiale e il significant contribution umano: diversa prospettiva in materia di brevetti
Nell’ottobre 2023, il presidente americano Joe Biden aveva richiesto all’Uspto (United States Patent and Trademark Office) di esprimersi sulla possibilità di ottenere un brevetto per invenzioni creato con l’ausilio di una intelligenza artificiale generativa e, in caso di risposta affermativa, di delineare una serie di principi e direttive in materia. Nel dare seguito a questa richiesta, l’Agenzia americana ha pubblicato, in data 13 febbraio 2024, un report nel quale ricorda innanzitutto che solo gli individui possono rivendicare la paternità delle invenzioni: queste infatti, per essere concepite, necessitano di un cosiddetto “act of mind”, capacità propria ed esclusiva degli esseri umani.
Tuttavia, l’Uspto riconosce che il senso stesso dell’esistenza dei brevetti sia quello di incoraggiare l’ingegno umano e promuovere il progresso e l’innovazione, anche andando al di là di ciò che oggi è concepibile. Per questo motivo, non è da escludersi a priori la brevettabilità di un’invenzione realizzata con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.
La parte centrale del report riguarda proprio la specificazione di una soglia oltre la quale è possibile dimostrare un cosiddetto “significant contribution” umano alla realizzazione dell’invenzione. In proposito, l’Uspto fa diversi esempi, tra i quali ricordiamo, non altrimenti che nel caso cinese, il grado di precisione, cura e specificazione del prompt.
Peraltro, l’Uspto ricorda che persino condurre un esperimento con l’ausilio dell’AI o apportare modifiche rilevanti a un output generato dal software possono essere considerati evidenze di significant contribution.
Infine, nel report viene ricordato un altro aspetto. Ogni richiesta di concessione di brevetto deve essere valutata individualmente e non è sufficiente, al fine di ottenere tutela brevettuale, la mera capacità di riconoscere o apprezzare l’output generato dall’intelligenza artificiale.
Una sfida realmente globale tra intelligenza artificiale e uomo
L’intersezione tra intelligenza artificiale e proprietà intellettuale pone interrogativi fondamentali sulla natura stessa della capacità umana di creare nell’era digitale. Attraverso vicende legali complesse e innovative, come quelle riguardanti l’utilizzo di AI generative in Cina e negli Stati Uniti, emergono sfide nuove. Queste sfide richiedono una rivisitazione delle leggi e dei fondamenti della proprietà intellettuale; o al contrario, un ridimensionamento ad radicem delle intelligenze artificiali e del loro ruolo nella società civile.
Mentre il Tribunale di internet di Pechino ha adottato un approccio liberale nei confronti dell’originalità prodotta dall’intelligenza artificiale, l’Usco rimane più cauto, sottolineando la necessità di un apporto rilevante da parte di un essere umano per garantire la protezione del diritto d’autore. Parallelamente, l’Uspto affronta il piano brevettuale, delineando dei criteri per valutare il significant contribution nel processo di realizzazione di un’invenzione assistito dall’intelligenza artificiale.
Siamo pronti ad accettare un algoritmo creativo?
(Articolo scritto in collaborazione con Federico Aluigi e Roberto A. Jacchia, studio legale De Berti Jacchia Franchini Forlani)