Dopo un 2023 in chiaroscuro (se non in toni decisamente grigi), nel 2024 il private equity in Italia ha ripreso la propria corsa. La creazione di valore potenzialmente generabile dall’apertura del capitale a operatori finanziari professionali è ormai nota anche nelle realtà imprenditoriali familiari meno sofisticate, ove per anni ha immotivatamente dominato il luogo comune in base al quale i fondi di investimento sarebbero stati capaci solo di “spolpare” l’azienda familiare in una prospettiva speculativa di breve, o brevissimo, periodo.
Il rilancio del private equity in Italia nel 2024
Non ci si soffermerà qui sulle opportunità che il private capital può offrire alle imprese del nostro territorio, spesso sottodimensionate, destrutturate e disorganizzate, in un contesto di competizione globale ove scenari macroeconomici e geopolitici complessi, processo di transizione energetica e digital transformation integrano sfide spesso impossibili da affrontare senza un partner finanziario e strategico che supporti l’espansione (in particolare sui mercati esteri), l’ottimizzazione della governance e, più in generale, la crescita.
Private equity e successione familiare: un binomio vincente
Ci concentreremo invece sulle opportunità che il capitale privato può offrire all’impresa familiare in una serie di casi particolarmente frequenti, ovverosia quelli in cui i discendenti dell’imprenditore abbiano visioni diverse circa il futuro dell’azienda.
Il tema non si esaurisce al caso di “scuola” in cui l’imprenditore sia forzato a vendere per “mancanza di eredi” (intesa anche come mancanza di eredi capaci/volonterosi): si tratta invece di guardare la problematica da una prospettiva più ampia, cercando di dar spazio alle molteplicità di voci normalmente presenti all’interno di una famiglia.
Conflitti familiari e private equity: un’arma per la coesione
Accade infatti sempre più spesso che i discendenti non siano affatto immeritevoli, incapaci o fannulloni, ma semplicemente che ciascuno di essi abbia i propri obiettivi professionali o imprenditoriali e le proprie esigenze personali; sarà pertanto opportuno – nell’ottica di preservare la coesione familiare – che le ambizioni di autorealizzazione di ciascuno siano assecondate.
La divergenza di visioni e la peculiarità delle attitudini e delle capacità di ciascuno all’interno della famiglia, insieme alla volontà o necessità di monetizzare la propria partecipazione, può spesso portare a incomprensioni, competitività malsana, rivalità, gelosie, indifferenza, e talvolta a veri e propri scontri, idonei non solo a minare la longevità e la crescita dell’azienda, ma anche la sua stessa sopravvivenza.
In tale prospettiva, il private equity può fungere da strumento di disinnesco dei conflitti e da agevolatore della transizione intergenerazionale del patrimonio familiare nel suo complesso.
Impresa familiare: il ruolo del private equity nel passaggio di testimone
Gli scenari possono essere diversificati.
Innanzitutto, nel caso in cui vi sia un discendente interessato a raccogliere il “passaggio del testimone”, il trasferimento (con attribuzioni liberali in vita o mortis causa) del controllo societario potrebbe alterare gli equilibri familiari in termini di aspettative patrimoniali, quando non anche (nel caso, estremamente frequente, in cui il family business abbia un peso preponderante rispetto al residuo patrimonio) ledere i diritti dei legittimari.
In tal caso l’investitore finanziario potrebbe intervenire con funzione di replacement, subentrando a una parte dell’azionariato (o consentendo con la relativa provvista di soddisfare le aspettative economiche dei familiari non soci) e, insieme, fornire eventuale supporto manageriale e strategico alla next gen.
In simili eventualità, il partner finanziario ideale sarà verosimilmente quello con una logica di investimento da “capitale paziente”, piuttosto che vincolato da rigidi limiti temporali in termini di exit (es. realtà industriali, family office od anche fondi di permanent capital).
Sarà in ogni caso opportuno che l’imprenditore gestisca preventivamente, mediante opportune previsioni contrattuali, l’uscita del partner, in maniera tale da potersi garantire la possibilità di acquisto in proprio delle partecipazioni (ovvero una cessione congiunta a terzi).
Buyout: acquisizione della maggioranza o del 100% del capitale
Anche la “classica” operazione di buyout (acquisizione della maggioranza o del 100% del capitale), certamente più frequente rispetto al replacement, può costituire uno strumento utile a scongiurare i conflitti e ad assecondare le inclinazioni di ciascun membro familiare (eventualmente, coloro che ne abbiano interesse potranno valutare la possibilità di reinvestire nella stessa azienda insieme al nuovo socio, mantenendo altresì gli eventuali ruoli operativi già rivestiti all’interno del family business).
La liquidità proveniente dalla vendita potrà essere distribuita tra i familiari, ovvero – come capita sempre più spesso – confluire in una holding, che nel tempo potrà strutturarsi come vero e proprio family office, da un lato mantenendo unito il patrimonio di famiglia e, dall’altro, consentendo a ciascuno di rivestire i ruoli che riterrà a sé più adatti (amministratore o mero azionista; Cio o responsabile di singole practice: real estate, investimenti quotati, investimenti illiquidi, collectibles, filantropia etc.).