Rovere: “Negli esercizi precedenti l’Italia aveva già rilevato significativi valori di impairment, mentre il 2019 ha registrato un andamento tutto sommato buono delle società quotate, che quindi non hanno ritenuto di doverne effettuare di nuovi”
I tre settori che hanno riportato gli incrementi più rilevanti rispetto all’ammontare degli impairment di avviamento relativo al 2019 sono finanziario e immobiliare, beni di consumo e il comparto energetico
Nel corso del 2019 l’Europa ha registrato un vero e proprio boom di svalutazioni. Secondo un’indagine di Duff & Phelps, gli impairment totali di avviamento riportati dalle società quotate nell’indice Stoxx Europe 600 sono cresciuti del 18%, toccando i 36,4 miliardi di euro, il livello più elevato degli ultimi quattro anni. Specchio di un rallentamento della crescita economica, le stime hanno visto viaggiare in controtendenza le società italiane, che hanno registrato nello stesso periodo un calo di 0,2 miliardi di euro. Cosa indica questo valore e quali sono le attese sull’impatto della crisi pandemica? We Wealth ne ha parlato con Enrico Rovere, managing director valuation advisory di Duff & Phelps in Italia.
“È una terminologia utilizzata per indicare l’ammontare di avviamento iscritto a bilancio che viene sottoposto a una svalutazione, in quanto ritenuto perdita durevole di valore sulla base di una valutazione prospettica effettuata dalla società tenendo presente l’evoluzione attesa del business e dei parametri valutativi di mercato”, spiega l’esperto. “Negli esercizi precedenti l’Italia aveva già rilevato significativi valori di impairment, mentre il 2019 ha registrato un andamento tutto sommato buono delle società quotate, che quindi
non hanno ritenuto di dover effettuare nuovi impairment per quell’anno”. Occorre inoltre rilevare, aggiunge, “che le società quotate italiane sono meno numerose rispetto ad altri paesi europei”, quindi il numero di casi di impairment che le coinvolgono tenderebbe per tale ragione a essere più contenuto.
Ad ogni modo, in linea generale, i tre settori che hanno riportato gli incrementi più rilevanti rispetto all’ammontare degli impairment di avviamento relativo al 2019 sono finanziario e immobiliare (da 9,6 miliardi di euro nel 2018 a 17,2 miliardi di euro nel 2019), accompagnato dai beni di consumo (da 1,2 miliardi di euro nel 2018 a 7,5 miliardi di euro nel 2019) e dal comparto energetico (da 1,5 miliardi di euro nel 2018 a 3,2 miliardi di euro nel 2019). Inoltre, le 10 maggiori operazioni in tal senso nel periodo considerato hanno rappresentato più dei due terzi del totale rilevato sullo Stoxx Europe 600, per un valore di circa 25 miliardi di euro. E sebbene resti ancora da verificare l’impatto della pandemia sulle aziende europee, il livello complessivo di impairment di avviamento nel 2020 potrebbe superare quello registrato nel 2019, stimano gli esperti.
“È ragionevole attendersi che il 2020 segni un peggioramento per tutti i paesi,
Italia non esclusa, a causa delle ripercussioni della pandemia, che, ancora adesso, non sono di facile e precisa definizione”, spiega Rovere. “Il percorso e la velocità della ripresa economica dalla crisi innescata dal covid-19 e il suo impatto sulla crescita a lungo termine saranno tra i fattori cruciali per le aziende europee nel valutare se effettuare operazioni di
goodwill impairment nei prossimi due anni”. Con riferimento al contesto nazionale, aggiunge, tenendo conto della struttura imprenditoriale della nostra economia è possibile “ipotizzare che le imprese più diversificate, con prodotti tecnologicamente avanzati e forte vocazione alle esportazioni, possano
subire in modo minore gli effetti del rallentamento economico, così come alcuni settori anticiclici come quello alimentare, di cui l’Italia è leader a livello globale. Sarà importante capire la capacità di reazione delle nostre imprese, che dovranno adattarsi ai nuovi paradigmi economici derivanti dagli effetti della pandemia, primo fra tutti una maggiore digitalizzazione”.
Secondo Rovere, dunque, le società dovranno valutare con molta attenzione soprattutto i business plan prospettici che utilizzano per effettuare i calcoli di impairment, la variabile più rilevante che determina se risulta o meno una svalutazione. Pertanto, conclude, “tali business plan devono riflettere in maniera accurata, documentata e supportata da evidenze di mercato quelle che sono le attese della società per l’evoluzione del proprio business negli anni prospettici, alla luce delle misure gestionali e strategiche adottate o in via di adozione da parte del management e delle migliori previsioni disponibili per l’economia e il settore o i settori di riferimento”.
Enrico Rovere, managing director valuation advisory di Duff & Phelps in Italia
Rovere: “Negli esercizi precedenti l’Italia aveva già rilevato significativi valori di impairment, mentre il 2019 ha registrato un andamento tutto sommato buono delle società quotate, che quindi non hanno ritenuto di doverne effettuare di nuovi”I tre settori che hanno riportato gli incrementi più ri…