Nella prassi è frequente inserire, all’interno della compagine sociale, figure professionali qualificate a supporto dei soci, ad esempio per agevolare il passaggio generazionale o per fornire una consulenza specializzata in materia di pianificazione patrimoniale e di gestione degli asset conferiti in società. Si tratta del cosiddetto socio d’opera, un socio che non apporta capitale, ma esclusivamente la propria opera a vantaggio della società.
Socio d’opera: chi è e cosa fa
Da questo punto di vista, il socio d’opera non apporta capitali bensì servizi consistenti nella propria attività lavorativa. Il ruolo attribuito al socio d’opera è dunque quello di supportare i soci nella gestione del patrimonio, mettendo a disposizione le proprie competenze tecniche a favore della società. Il socio d’opera può anche ricoprire la carica di amministratore, prevedendo una limitazione o l’esclusione della responsabilità; si potrà anche ricorrere al socio d’opera quale figura che possa equilibrare i rapporti tra i soci in caso di dissidi o in caso di operazioni particolarmente delicate. Il ruolo del socio d’opera diventa così di garante della stabilità delle società di persone, comprese le società semplici sempre più deputate a svolgere la funzione di cassaforte del patrimonio familiare.
Focus sui conferimenti: di capitale o di patrimonio?
Occorre però esaminare se l’esercizio di tali funzioni costituisca conferimenti di capitale, e quindi da imputare a capitale, ovvero di conferimenti di patrimonio, come tali non imputabili a capitale. In altre parole, è necessario approfondire se, nelle società di persone, sia possibile o addirittura necessario – o meno – che i soci valutino tale conferimento per poi conteggiarlo ai fini della determinazione della cifra capitale sociale indicata nell’atto costitutivo, iscritta nel registro delle imprese e soggetta alla embrionale disciplina a tutela dell’integrità del capitale delle società di persone.
I vari orientamenti della giurisprudenza sui conferimenti d’opera
Un primo orientamento, più propenso ad attribuire al capitale sociale una preminente funzione di garanzia nei confronti dei terzi che contrattano con la società, qualifica tali conferimenti come conferimenti di patrimonio poiché, pur costituendo entità utili per il perseguimento dell’oggetto sociale, non sono idonei alla garanzia dei creditori sociali, atteso che la loro capitalizzazione, da un lato, falserebbe la redditività dell’impresa e, dall’altro, non garantirebbe l’eventuale soddisfacimento dei creditori sociali in caso di escussione del patrimonio sociale: infatti, tali apporti, consistendo in servizi o prestazioni lavorative o comunque di fare, non sarebbero suscettibili di espropriazione forzata.
Un diverso orientamento, invece, attribuisce al capitale e ai conferimenti una funzione più che altro produttiva, nel senso di garantire alla società ogni e qualsiasi entità utile al conseguimento dell’oggetto sociale. In quest’ottica sarebbe conferibile in società non solo ciò che è espropriabile, ma ogni entità suscettibile di valutazione economica e utile al fine di realizzare gli scopi societari. Il conferimento d’opera, in questa prospettiva, sarebbe così equiparato ai conferimenti tipici (denaro e beni in natura) qualificati di capitale.
Secondo parte della giurisprudenza osta alla possibilità di imputazione a capitale del conferimento d’opera l’incertezza che caratterizza tale conferimento sia sotto il profilo della sua corretta valutazione sia sotto il profilo della sua effettiva integrale esecuzione, in considerazione del legame con la persona del socio e con le sue vicende. L’incertezza che deriva da simili apporti li rende incompatibili con l’esigenza di effettiva formazione del capitale sociale, esigenza almeno in parte recepita anche dalla disciplina delle società di persone, a tutela non solo e non tanto dei soci, quanto dei terzi e, specialmente, dei creditori sociali che sarebbero indotti a fare affidamento su un capitale sociale della società, almeno parzialmente, non certo.
In questa prospettiva, la capitalizzazione dei conferimenti d’opera non è necessaria né per garantire la parità di trattamento tra soci di capitale e soci d’opera, né per tutelare l’interesse dei creditori sociali alla conservazione dei mezzi propri dell’impresa. E in effetti una simile conclusione, da un lato, non interferisce con il regolamento dei rapporti interni tra i soci (che sono liberi di determinare, a prescindere dall’indicazione della cifra del capitale sociale, il valore dell’apporto a patrimonio del socio d’opera) e, dall’altro, tutela l’interesse dei terzi a evitare l’imputazione a capitale di valori non effettivi e a scongiurare il rischio di distribuzione di utili soltanto sperati.
D’altra parte, secondo la disciplina delle società di persone, i soci sono liberi di organizzare il patrimonio destinato all’impresa, anche in ordine al capitale sociale, con il limite della impossibilità di imputare a capitale valori non effettivi. In tale direzione, viene in rilievo la disciplina della misura del capitale sociale: se pure è vero che anche nelle società di persone la regola del capitale sociale è obbligatoria, è altrettanto vero che ciò ha un valore solo formale, rimanendo, in mancanza di un minimo di capitale imposto per legge, i soci liberi di fissare l’entità del medesimo, sia al momento della costituzione della società che in seguito e ciò fino al limite di costituire e/o mantenere attiva una società con capitale sociale pari a zero.
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