Harris nuovo presidente Usa, quali i principali effetti economici
Kamala Harris nuovo presidente Usa? Treasury, banche, dazi, economia verde le parole chiave del suo mandato. Attualmente, il deficit degli Stati Uniti è pari al 7% del prodotto interno lordo, mentre il debito veleggia sul 100% del pil. Entrambi i candidati avevano improntato la loro campagna elettorale (anche) su una maggiore spesa pubblica, ma in misura decisamente diversa: 7.500 miliardi di dollari per Trump, 3.500 miliardi per Harris (stime Pictet Am).
I titoli del debito pubblico Usa
In tal senso, con Kamala presidente i rendimenti dei Treasury possono essere più contenuti, in linea con il contesto prospettico di calo dei tassi di interesse. Ma non solo per questo: una politica di bilancio poco severa (come quella prospettata dal suo rivale) richiederebbe da parte degli investitori un premio al rischio nel rendimento dei titoli del debito pubblico, a prescindere dall’andamento del saggio di interesse di riferimento. Del resto, conti pubblici fuori controllo sono una vulnerabilità per lo Stato. E la Harris ha proposto di aumentare l’aliquota fiscale sulle società (ora al 21%).
(e il dollaro)
L’effetto immediato di un calo dei tassi sui treasury bond sarebbe quello di far deprezzare la divisa statunitense, giacché i capitali migrano laddove la loro remunerazione è più elevata. Non solo: un mancato aumento delle tariffe commerciali verso paesi terzi contribuirebbe a un calo di valore del biglietto verde.
Kamala Harris presidente, i benefici per Wall Street
Potenzialmente, rendimenti meno elevati sulle obbligazioni del Tesoro Usa possono agevolare l’azionario, a dispetto di chi – qualche mese fa – riteneva la possibile presidente invisa al gotha dei listini americani. In realtà, nelle battute finali della sua campagna elettorale sono emerse indiscrezioni sulla vicinanza della rivale di The Donald a dirigenti quali Karen Lynch di Cvs, Ryan McInerney di Visa, Charles Phillips di Infor e Greg Brown di Motorola. Senza contare il rilievo dato a Ken Chenault (già ceo di American Express e oggi presidente della società di private equity General Catalyst) in occasione della convention democratica. Le banche però potrebbero soffrire, a causa di una possibile maggiore regolamentazione di settore, voluta dalla Harris.
Dazi: bene per l’Europa. Ma la guerra commerciale contro la Cina potrebbe costare cara al Vecchio Continente
È altamente improbabile che Kamala Harris metta in atto un piano tariffario nei confronti dell’Europa. Ricalcando un’analisti fatta da Barclays su 28 titoli del Vecchio Continente esposti alle tariffe statunitensi, della vittoria di Harris alle elezioni Usa potrebbero beneficiare società quali Lvmh, Volkswagen e Diageo, che sulle prime previsioni di una vittoria di Trump avevano subito pesanti svalutazioni. Al contrario, è quasi certo che l’ex vicepresidente di Joe Biden mantenga i dazi nei confronti della Cina. Si ricordi solo che le auto elettriche cinesi – se importate negli Stati Uniti – scontano un dazio pari al 100%. Le celle solari invece sono sottoposte a una tariffa del 50%; mentre le batterie Ev, i minerali critici, l’acciaio e l’alluminio subiscono un balzello del 25%.
Campanello d’allarme numero uno per l’economia europea
Questo punto apparentemente favorevole all’Europa nasconde in realtà qualche insidia. Il Vecchio Continente dipende dal Dragone molto più che non il Nuovo. Anzi: per dirla tutta, la Cina è il maggior partner commerciale dell’Ue dopo gli Stati Uniti. Solo nel 2023, il commercio sino-europeo ha raggiunto 739 miliardi di euro. Per questo motivo, la politica commerciale nei confronti di Pechino potrebbe rivelarsi un punto di attrito non banale fra Bruxelles e Roma. Anche con la Harris nuovo presidente degli Usa, l’Unione europea subirà pressioni affinché diluisca le transazioni commerciali con l’ex Celeste Impero.
La politica green di Kamala Harris come nuovo presidente degli Usa (+ il campanello numero due)
Harris manterrebbe i sussidi all’Inflation Reduction Act (Ira), la legge del 2022 per stimolare gli investimenti nella produzione nazionale di energia pulita, come eolico e solare, temi da preferire dunque in portafoglio.
È però nell’economia green di Kamala che si annida un altro possibile motivo di scontro con l’Europa. I regolamenti europei su carbonio (Cbam) e deforestazione (Eudr) potrebbero penalizzare le esportazioni delle imprese Usa. Si consideri poi che gli Stati Uniti sono un mercato di sbocco molto importante per i veicoli ibridi ed elettrici europei (i veicoli elettrici importati vi rappresentano il 30%). ll sostegno all’Ira da parte del governo Harris probabilmente renderà più costoso l’acquisto di tecnologia verde dall’Europa. Senza considerare la possibile arma di ricatto degli Usa nei confronti dell’Ue, dati gli interessi della Cina in gioco nel settore.