Cosa sono esattamente gli annulli postali? Semplici timbri, direte voi, ma nascondono una storia affascinante, ricca di dettagli e peculiarità. Nel Regno delle Due Sicilie, tra il 1858 e il 1860, gli annulli non erano solo strumenti pratici per certificare l’affrancatura. Nel Regno Borbonico, tra Sicilia e il Regno di Napoli, le differenze tra i timbri riflettono due mondi distinti e complementari. I “ferri di cavallo” siciliani, dal design unico e personalizzato, si distinguevano per la loro raffinatezza e per l’impronta di un’arte che puntava alla divulgazione e salvaguardia dell’immagine del Sovrano. Al contrario, i timbri utilizzati nella parte continentale del Regno, più semplici e ordinari, incarnavano una visione più pragmatica e burocratica contro la falsificazione.
La vanità in timbro: i ferri di cavallo della Sicilia
Gli annulli a ferro di cavallo della Sicilia rappresentano uno dei capitoli più affascinanti e ricercati della filatelia italiana. Questi esclusivi timbri postali, utilizzati durante il Regno delle Due Sicilie tra il 1859 e il 1860 per l’isola, sono emblema della raffinata eleganza e del fervore creativo dell’epoca. Incisi su richiesta di Re Federico II di Borbone, riflettono una forma particolare ideata dall’incisore Tommaso Aloysio Juvarra, nipote del grande architetto Filippo Juvarra. Questi timbri esprimono chiaramente la volontà regale di preservare un’immagine perfetta e inconfondibile, destinata a una grande circolazione e, per questo, degna di essere valorizzata e preservata.
D’altronde, in un’epoca in cui non era scontato riconoscere il volto di un sovrano, i francobolli assunsero un ruolo centrale. Costui, desideroso di evitare qualsiasi “sporcatura” della propria effige, affidò a Juvarra la creazione di un timbro unico e distintivo, capace di riflettere non solo la grandeur del Regno, ma anche l’ossessione per la visibilità e l’eleganza della propria immagine. Gli annulli a ferro di cavallo, dunque, non sono semplici strumenti postali, ma vere e proprie manifestazioni della volontà di Federico II di Borbone di curare e controllare l’identità visiva della dinastia, perfettamente impressa in un cammeo destinato a circolare ampiamente.
Gli “Svolazzi” di Napoli e la maestria nel frodare l’amministrazione postale
Per la parte al di qua del Faro, invece, spicca un’altra particolarità unica nel panorama filatelico mondiale: l’introduzione, nel 1860, di 36 differenti tipologie di annulli “a svolazzo”, sia in corsivo che in stampatello, distribuiti tra i vari uffici postali del Regno. L’obiettivo era di evitare il riutilizzo di francobolli già annullati, grazie a timbri che differivano da ufficio a ufficio. Precedentemente all’introduzione degli annulli “a svolazzo”, si utilizzavano semplici timbri in cartella, uguali per tutti, recanti la scritta “ANNULLATO”.
Il problema? Quei timbri standard permettevano di staccare i francobolli e riutilizzarli con la compiacenza degli impiegati postali, creando così un vero e proprio far west filatelico, dove l’arte della frode prosperava. Con l’introduzione dei “svolazzi”, però, Federico II cercò di correre ai ripari, portando un po’ di ordine e distinguibilità in un mondo dove l’inventiva, spesso spinta oltre il limite, giocava un ruolo troppo rilevante.