- Il numero di nuove pensioni liquidate nel 2023 ammonta a 519.879, superando di gran lunga le nuove nascite, ferme a 379.339
- Attualmente solo un italiano su quattro con un’età compresa tra i 30 e i 59 anni sta investendo nella previdenza complementare
La crisi demografica continua ad alimentare uno squilibrio tra nuove e vecchie generazioni, pesando sul rapporto tra spesa pensionistica e prodotto interno lordo. Basti pensare che il numero di nuove pensioni liquidate nel 2023 ammonta a 519.879, superando di gran lunga le nuove nascite ferme a 379.339. In altre parole, si fanno meno figli, si entra nel mondo del lavoro più tardi rispetto al passato – un mondo del lavoro tra l’altro sempre più precario – e si allungano le aspettative di vita: un insieme di fattori che mette a rischio il patto intergenerazionale su cui si basa l’intero sistema previdenziale pubblico. A lanciare l’allarme è Moneyfarm che, in una nuova analisi, ribadisce la necessità per i cittadini italiani di aderire a una qualche forma di previdenza integrativa. Un modo per “affrontare più serenamente il proprio futuro senza essere costretti a modificare il proprio tenore di vita una volta usciti dal mondo del lavoro”, incalza Andrea Rocchetti, global head of investment advisory della società di consulenza finanziaria. Ma quanto investire in un fondo pensione per ottenere fino a 350 euro al mese?
Fondi pensione: la mappa degli iscritti
Prima di rispondere a questa domanda, facciamo un passo indietro. Secondo le stime di Moneyfarm, attualmente solo un cittadino su quattro con un’età compresa tra i 30 e i 59 anni sta investendo nella previdenza complementare. Su oltre 24,2 milioni di individui nati tra il 1965 e il 1994, solo il 26% ha un fondo pensione. Tra l’altro, di questo 26%, una parte potrebbe essere “silente”, ovvero contribuenti che non effettuano versamenti. Se poi si guarda al Trattamento di fine rapporto (anche noto come “Tfr”), la situazione non migliora: tra il 2007 e il 2023 appena il 22% dell’intero Tfr maturato è confluito in fondi pensione. A versare di più in una forma di previdenza integrativa, come evidenziato nella tabella sottostante, sono gli uomini con un’età compresa tra i 40 e i 59 anni. Circa il 33,5% di questo campione ha infatti sottoscritto un fondo pensione, a fronte del 21% delle donne nella stessa fascia d’età.
Il gender gap previdenziale
Le ragioni del minor tasso di adesione delle donne alla previdenza integrativa sono diverse. Innanzitutto, è una questione di tasso di occupazione: le donne tra i 30 e i 59 anni scontano infatti un tasso di occupazione medio di circa il 63% a fronte dell’83% degli uomini. Tra l’altro, questo divario tende ad ampliarsi al crescere dell’età, se si considera che il tasso di occupazione medio delle donne tra i 55 e i 64 anni scivola addirittura al 48% (contro il 69% della controparte maschile). Senza dimenticare poi il tema della retribuzione. Secondo l’ultimo Osservatorio Inps sui lavoratori dipendenti del settore privato, la retribuzione media annua degli uomini risultati pari a 26.227 euro contro i 18.305 delle donne. In altre parole, le lavoratrici guadagnano circa 8mila euro annui in meno rispetto ai lavoratori.
Quanto si guadagna con un fondo pensione
Fatte queste premesse, secondo le stime di Moneyfarm, gli oltre 6 milioni di lavoratori tra i 30 e i 59 anni che hanno già aderito a una qualche forma di previdenza integrativa versano mediamente 2.004 euro all’anno. Si passa infatti dai 1.450 euro delle donne con un’età compresa tra i 30 e i 39 anni ai 2.250 euro degli uomini tra i 40 e i 49 anni. Smileconomy ha calcolato per la società di consulenza quale sarebbe la rendita integrativa netta che si potrebbe ottenere da un fondo pensione bilanciato versando questa cifra fino ai 67 anni: si parla mediamente di 295 euro al mese, con valori che oscillano dai 231 euro per le donne over 50 ai 350 euro degli uomini tra i 30 e i 39 anni.