La previdenza pubblica italiana sta affrontando una crisi strutturale dovuta a fattori demografici e macroeconomici del sistema-paese Italia. Intervistato per i lettori di We Wealth, Simone Bini Smaghi, Vice Direttore Generale di ARCA Fondi SGR, identifica le principali sfide educative e normative da affrontare, presentando l’iniziativa “Previverso” volta a promuovere l’attenzione verso un mercato previdenziale più aperto e competitivo. L’obiettivo? Rendere giovani e aziende più consapevoli dell’importanza della pianificazione pensionistica.
Quali sono i maggiori ostacoli alla sensibilizzazione sulla pianificazione previdenziale e come educare i giovani in questo senso?
Il problema è di tipo informativo ed educativo, due concetti che devono essere approfonditi e trattati in modo complementare. L’educazione finanziaria e in particolare quella previdenziale dovrebbero essere affrontate già nelle scuole e nelle università e possibilmente anche all’interno della famiglia, dal momento che questi sono i luoghi e i momenti in cui iniziamo a costruire una consapevolezza della necessità di pianificare il proprio futuro.
Inoltre, il mondo del lavoro deve giocare un ruolo cruciale, specie per i dipendenti chiamati a decidere la destinazione del proprio Tfr (Trattamento di Fine Rapporto) al momento dell’assunzione e in particolar modo quando ciò avviene per la prima volta. Molti giovani lavoratori, infatti, tendono a rimandare questa decisione, spesso perché non sono consapevoli dell’importanza che la previdenza complementare può avere per il futuro. Tuttavia, il tempo è il fattore determinante: prima si comincia, maggiore sarà il risultato finale.
Con “Previverso” stiamo cercando di far conoscere questi temi anche ai giovani, che ancora oggi mostrano una bassa sensibilità verso la previdenza.
La normativa attuale supporta adeguatamente i risparmiatori nella costruzione di una solida pianificazione previdenziale? Come vede evolvere il settore nei prossimi 5-10 anni?
L’attuale normativa non è abbastanza efficace, come dimostrato dal fatto che solo un lavoratore su tre ha aderito alla previdenza complementare. Le riforme previdenziali che si sono avvicendate dagli anni ‘90 non hanno affrontato il problema dell’equilibrio del sistema previdenziale in maniera organica e gli incentivi legali e fiscali che hanno introdotto risultano oggi non sufficienti. Serve quindi una normativa più aggiornata che favorisca una maggiore adesione alla previdenza complementare.
Oggi, infatti, ci troviamo davanti a un problema generazionale: da un lato la denatalità, iniziata 30 anni fa e che ora sta mostrando i suoi effetti; dall’altro, un numero sempre più basso di giovani che entrano nel mercato del lavoro e un numero crescente di pensionati. A ciò si aggiunge il grande tema dell’aumento della longevità, che rende il sistema pubblico sempre più difficile da sostenere.
Aumentare il tasso di occupazione e incentivare in particolar modo la partecipazione femminile al mercato sono fattori che possono rallentare ma che non sono sufficienti a riequilibrare il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati, dal momento che nei prossimi dieci anni avremo un pensionato per ogni lavoratore. Ma non è tutto: i nuovi lavoratori, infatti, percepiscono mediamente retribuzioni più basse rispetto alle attuali prestazioni pensionistiche attuali e oggi esiste già un deficit previdenziale che viene coperto grazie alla fiscalità generale.
Non ci troviamo, tuttavia, in un vicolo cieco: in fin dei conti l’Italia sta vivendo un fenomeno che molte economie evolute hanno già sperimentato in passato e che lo hanno affrontato. Basti pensare ai paesi di cultura anglosassone o a quelli del Nord Europa, dove le prestazioni offerte del sistema previdenziale pubblico sono contenute e l’adesione alla previdenza complementare è obbligatoria per legge.
Che ruolo gioca l’industria finanziaria e della gestione del risparmio nella creazione di un piano previdenziale ottimale?
La consulenza finanziaria è fondamentale per colmare le lacune info-formative dei lavoratori. Tuttavia, l’industria del risparmio non può sostituire il settore pubblico, su cui grava il compito principale di rendere le persone consapevoli della precarietà del sistema e di offrire soluzioni adeguate. Solo con un’azione politica incisiva potremmo incentivare il risparmio previdenziale. Attenzione però che, sebbene una consapevolezza generale debba essere creata, questa non deve tuttavia instillare il panico, perché il rischio sarebbe quello di incentivare atteggiamenti di evasione previdenziale.
Tuttavia, occorre ricordare che bisogna giocare anche sul lato dell’offerta. Nei paesi dove i fondi pensione sono diffusi e sviluppati, infatti, l’economia cresce maggiormente rispetto a quelli in cui questi investitori istituzionali sono poco presenti. Promuovere e incentivare il ruolo dei fondi pensione, infatti, non porta beneficio solamente alle persone che vi aderiscono in quanto singoli contribuenti, ma anche alla società in cui essi operano. I fondi pensione, infatti, investono massicciamente e con un’ottica di lungo periodo nell’economia di un Paese, nella ricerca e nello sviluppo, nell’innovazione. E come dimostrato dal Rapporto Draghi, In Italia e in Europa dobbiamo investire tra i 500 e gli 800 miliardi di euro all’anno per finanziare la transizione energetica e la trasformazione digitale dell’economia.
Qual è il ruolo delle aziende nel promuovere la pianificazione previdenziale tra i dipendenti?
È essenziale che le aziende giochino un ruolo attivo nella sensibilizzazione dei dipendenti, specialmente quelli più giovani. Non basta consegnare loro un modulo chiedendo di spuntare una casella: serve una spiegazione dettagliata in un apposito momento di formazione. Spesso, tuttavia, manca la conoscenza anche all’interno delle aziende ed è quindi fondamentale che i direttori del personale comprendano queste tematiche.
Ma, anche in questo caso, il problema non può essere scaricato solo sulle spalle delle aziende.Ancora un volta, l’input deve venire dal Legislatore. A mio avviso, una strada percorribile potrebbe essere quella del passaggio a un modello di adesione semi-automatica di tipo opting-out, dove il TFR dei dipendenti confluisce automaticamente nel fondo pensione, a meno che questi non scelgano esplicitamente di lasciarlo in azienda. Questo approccio, a mio avviso, va nella giusta direzione, e anche il governo sta considerando un’opzione simile.
Cosa vi ha spinto a lanciare l’iniziativa “Previverso” e quali obiettivi intendete raggiungere?
“Previverso” è un laboratorio di idee e soluzioni per incontrare i giovani e coinvolgere i direttori delle risorse umane, in collaborazione con associazioni e altre realtà. Oltre alla formazione, vogliamo promuovere un mercato previdenziale più aperto e competitivo. In Italia, i fondi pensione negoziali sono riservati a categorie specifiche di dipendenti, vincolandone di fatto l’adesione e limitando la concorrenza e, quindi, anche le opzioni di scelta per gli utenti. Ci auspichiamo che sempre più lavoratori accedano a diversi opzioni e operatori per soddisfare le proprie esigenze previdenziali. Il nostro obiettivo è presentare i risultati di questo primo anno di attività al Parlamento il prossimo 5 novembre, per evidenziare l’urgenza di una riforma della previdenza integrativa.