Philanthropy advisor: chi è e come investe

Per quelli specializzati nella gestione patrimoniale e coinvolti nella sincronizzazione del portafoglio del cliente con la strategia filantropica, l’identikit è quello tipico di un consulente patrimoniale: principalmente uomini con un’età media di 55 anni
Swierczynska: “Si parla di un servizio che si rivolge principalmente a High net worth individual, che vedono nella propria ricchezza un’opportunità per migliorare il mondo. Persone sensibili alle tematiche sociali, ben informate e consapevoli”
Se negli Stati Uniti si contano oltre 3.500 philanthropy advisor certificati, in Italia rappresentano ancora una nicchia. Seppur in crescita. Intermediari che nelle parole di Urszula Swierczynska, philanthropy and impact investing advisor intervistata da We Wealth, guidano la clientela (principalmente high net worth, con un patrimonio superiore ai 5 milioni di dollari) attraverso quello che viene definito “un labirinto di scelte filantropiche”. Facendo chiarezza su obiettivi d’investimento, strategia e strumenti per massimizzarne l’impatto sociale.
L’identikit del philanthropy advisor (over 40)
“Si tratta di un mestiere che si sta ancora consolidando, sia nel mercato globale che in quello italiano”, racconta Swierczynska. “Al momento non esiste né un albo professionale (anche se ci sono già alcune associazioni professionali che svolgono questo ruolo) né una certificazione universalmente riconosciuta come entry point nella professione”. Per queste ragioni, spiega, non risulta semplice tracciarne un profilo. Ma esistono in generale tre tipologie di consulenti filantropici. Per quelli più specializzati nella gestione patrimoniale e coinvolti nella sincronizzazione del portafoglio del cliente con la strategia filantropica, l’identikit è quello tipico di un consulente patrimoniale: principalmente uomini con un’età media di 55 anni. Lo stesso vale anche per la consulenza filantropica nell’ambito legale e fiscale. “Quanto invece ai consulenti specializzati nell’impatto sociale e nella gestione di progetti filantropici, l’identikit si sposta più verso un tipico fundraiser (in particolare major donor fundraiser)”, osserva l’esperta. “Qui abbiamo decisamente più donne, con un’età media tra i 40 e i 50 anni”.
Philanthropy advisor: chi è e a chi si rivolge
Ma che ruolo svolge un philanthropy advisor? “Nel senso metaforico del termine, fa da guida nel labirinto delle scelte filantropiche, affianca la clientela e la conduce verso le giuste soluzioni, lasciandole in mano un filo rosso di Arianna, vale a dire le capacità e le competenze trasmesse”. In senso letterale, invece, si tratta di un intermediario che aiuta a fare chiarezza sugli obiettivi di investimento filantropico, formula una strategia e un piano filantropico e seleziona strumenti di implementazione e gestione delle attività filantropiche del cliente in linea con le sue esigenze e preferenze. Si parla di un servizio che si rivolge principalmente a High net worth individual, come anticipato in apertura, che “vedono nella propria ricchezza un’opportunità per migliorare il mondo”. Soggetti sensibili “alle tematiche sociali, ben informati e consapevoli. Che non hanno timore di porsi domande complesse, riflettendo sul senso dell’accumulo del capitale e sulla condizione del mondo in cui viviamo”, precisa Swierczynska.
Come si diventa philanthropy advisor
Quanto alle opportunità di formazione accademica, Swierczynska cita un corso di philanthropic studies all’Università di Kent, nel Regno Unito. Dove dal 2018 esiste un centro della ricerca filantropica gestito dalla docente Beth Breeze, con un laboratorio dedicato all’advisory filantropica a cura della docente Emma Beeston. Per chiunque intendesse invece avvicinarsi alla professione senza formarsi accademicamente, le strade sono diverse. “Penso che quella più tipica sia diventare un consulente patrimoniale o family officer con un background finanziario, legale o fiscale; per poi ulteriormente specializzarsi nel settore non profit tramite executive master (come quelli offerti, per esempio, dall’European venture philanthropy association)”, suggerisce l’esperta. “Per diventare invece un consulente filantropico indipendente è necessaria una profonda conoscenza del settore non profit, ma anche di strumenti e metodi di ricerca sociale e di valutazione dell’impatto. Sarebbe quindi indicato avvicinarsi alla professione tramite una laurea legata al non profit o alle fondazioni, per poi approfondire in sede separata il mondo della gestione patrimoniale”.
“Ai giovani interessati a questa professione consiglierei di studiare i trend filantropici (tematiche, modalità, strumenti) tramite letteratura, eventi e conferenze. Ma anche di allenarsi su due fronti. Il primo: diventare bravi nell’ascolto. Per un philanthropy advisor è fondamentale, perché è un mestiere basato sulla capacità di comprendere a fondo le esigenze del cliente. E poi, sviluppare un pensiero critico. Il settore non profit è vasto e complesso e, come tale, si intersecano diversi interessi non sempre facili da leggere sulla superficie. Cogliere queste dinamiche è fondamentale”, avverte Swierczynska.
Consulenza filantropica, una nicchia (in crescita) in Italia
In Italia si tratta ancora di un servizio di nicchia, ma in crescita. “Ci sono due società di consulenza filantropica indipendente che forniscono servizi dedicati. Inoltre, abbiamo alcuni advisor che lavorano presso Donor advised fund esistenti in Italia e, da qualche anno, troviamo consulenti di questo tipo presso alcune banche private e family office”, conclude Swierczynska. Come evidenziato all’interno di un recente report del Politecnico di Milano dal titolo La diversità dei family office. Profili strategici, organizzativi e imprenditoriali per la sostenibilità del capitalismo italiano, il 46% dei family office italiani sono attivi nella gestione di iniziative e investimenti in filantropia mentre più del 50% offre servizi di philanthropy advisory. Nel resto del mondo, i Paesi più avanti su questo fronte sono Stati Uniti e Regno Unito.