Lo scorso 12 marzo la Consob ha emesso il richiamo di attenzione n. 1 del 2020 avente ad oggetto la prestazione di servizi di investimento e le questioni Esg. Come noto, Esg è l’acronimo che sta per Environmental, Social and Governance.
Fatto ciò, resterà comunque da risolvere lo spinoso problema di chi effettivamente possa certificare quali prodotti concretizzino la reale sussistenza dei criteri individuati e chi poi sia in grado di controllare i certificatori. Parlare di Esg prima che si sia posto in essere questo complesso apparato a tutela dell’effettivo perseguimento degli obiettivi, non solo pare non avere concreta rilevanza, ma, al contrario, rischia di alimentare l’impressione che questo sistema di selezione degli investimenti sia già effettivamente funzionante, essendo lasciato invece al momento all’autoregolamentazione o, in alcuni casi, all’autodichiarazione. È un po’ come parlare di prodotti biologici in assenza di un ferreo disciplinare e di soggetti che controllino la sua rigorosa applicazione.
Nelle more la Consob ha comunque ritenuto opportuno richiamare gli intermediari all’osservanza delle principali regole che governano i presidi di investor protection. L’assunzione di informazioni rilevanti dal cliente, la sua corretta profilazione e quindi l’acquisizione da parte dello stesso dei suoi bisogni, intesi come preferenze del cliente sui fattori ambientali, sociali e di governance, si pone come elemento imprescindibile per la corretta identificazione dello stesso come target market teorico positivo da parte dei manifacturers (asset manager) nella costruzione dei prodotti e come target market effettivo per gli intermediari distri- butori. Allo stesso modo, a valle, tali informazioni dovrebbero guidare ed arricchire il processo di valutazione di adeguatezza dei prodotti rispetto al portafoglio del cliente.
Considerato il notevole fattore attrattivo che le tematiche Esg possono avere nella raccolta del risparmio tra il pubblico, viene compiuto un forte richiamo dalla Commissione ai principi di correttezza dell’informazione, dell’informativa, delle comunicazioni di marketing e comunque delle modalità di commercializzazione dei prodotti interessati, tenuto conto della classificazione del cliente. In un contesto di asimmetrie informative e di possibili spinte competitive vi è il serio rischio di condotte degli intermediari non conformi all’interesse del cliente. Si vuole evitare il cosiddetto green washing, anche se per far ciò bisognerebbe prima di tutto definire cosa sia davvero green.
Il richiamo di attenzione è stato emanato in piena diffusione del virus covid 19. La pandemia è un fenomeno gravissimo ed emergenziale per il mondo intero. Ma, oltre ad essere una tragedia umana, con danni economici ad oggi difficilmente calcolabili, è un vero e proprio laboratorio a cielo aperto di fenomeni mai sperimentati prima: il lockdown delle attività produttive su base mondiale, la profonda modificazione dei comportamenti umani, l’uso massivo della rete e dei mezzi di comunicazione di massa, lo smart working. Gli effetti sono già visibili: notevole riduzione dell’inquinamento atmosferico su base globale, l’acqua del mare che torna pulita, gli animali selvatici che riprendono i loro spazi.
No, non si vuol certo sostenere qui la decrescita felice. Il punto è che questo enorme stress test ci aiuta a capire per la prima volta, numeri alla mano, i costi effettivi ed a liberarci da molte ipocrisie. Ci aiuta a comprendere che nessuno è disposto a sopportare quei costi e che quindi la via per uno sviluppo sostenibile è un’altra, mostrandoci da subito qualche strumento con cui può essere percorsa. Soprattutto ci apre gli occhi sul fatto che i tre elementi di cui è composto Esg, Environmental, Social and Governance, sono tre facce dello stesso insieme e che solo il loro perseguimento congiunto può portare alla corretta qualificazione degli investimenti sostenibili.