La tecnologia digitale ha inciso profondamente sul modo di intendere un bene e sul modo di esercitare la proprietà sullo stesso, nonché di trasferirlo al momento della morte
Il patrimonio digitale è formato da beni di nuova concezione come password, software, intangible assets, criptovalute
La profonda trasformazione tecnologica degli ultimi anni ha investito ogni aspetto della vita collettiva e personale.
La maggior parte degli individui, infatti, attraverso l’archiviazione di password, fotografie, dati sensibili su social, smartphone, servizi di cloud computing, o mediante l’acquisto di beni e valute virtuali (come Nft e Bitcoin), ha accumulato un patrimonio che, benché intangibile, necessita di essere tutelato; anche dopo la morte del titolare.
Ebbene, poiché la continua digitalizzazione delle abitudini sociali e del patrimonio comporta importanti conseguenze sotto il profilo sociale ma anche giuridico, la domanda che sorge spontanea è: cosa ne è dei beni digitali dopo la morte? Come tutelarli?
L’importanza della successione mortis causa
Sin dall’antica Roma si è avvertita l’esigenza di regolamentare il fenomeno successorio mortis causa apprestando istituti volti a salvaguardare il patrimonio del defunto (il de cuius) assicurando – attraverso un “continuatore” (quindi l’erede) –, la trasmissione dei beni di quest’ultimo oltre la sua vita.
Il diritto ereditario risponde, infatti, all’esigenza di:
- dare assetto giuridico a tutti i rapporti e diritti patrimoniali riferibili ad una persona che muore
- soddisfare l’esigenza sociale che vi sia una continuazione della vita economica dei beni appartenuti ad una certa persona fisica
- soddisfare l’aspettativa personale che vi sia un successore atto a raccogliere i propri rapporti patrimoniali, che, anche dopo la morte, non possono rimanere senza titolare.
In questi termini, mediante numerosi istituti giuridici e strumenti di tutela, l’ordinamento permette di soddisfare, attraverso il diritto successorio, sia la volontà del defunto, che gli interessi dell’ereditando che, ancora, quelli dei suoi familiari.
Parlare di successione mortis causa, pertanto, significa parlare di tutti gli strumenti che consentono e giustificano lo spostamento di ricchezza da un soggetto, in occasione della sua morte, a favore di altre determinate persone. E questo vale anche per il patrimonio digitale.
Patrimonio digitale: cos’è?
Risulta particolarmente complesso tentare di fornire un’esaustiva elencazione dei beni digitali ed inserirli in una specifica categoria giuridica. Questa difficoltà emerge tanto per via della molteplicità di beni digitali esistenti, quanto perché l’assenza della “corporeità” di detti beni non facilita la trasposizione di questi nelle consolidate categorie giuridiche civilistiche esistenti.
Tuttavia, in linea generale, un bene è digitale quando non ha una materialità ed è creato e gestito attraverso mezzi informatici. A pagamento e no.
Si parla poi di beni digitali patrimoniali quando si tratta di beni (digitali) che sono idonei a produrre una certa utilità monetaria a favore del proprietario: si pensi ai Bitcoin, alle azioni acquistate mediante servizi online, ai video caricati su un portale che genera entrate economiche tramite le views, ai testi o alle foto accessibili sono tramite piattaforme online e dietro corrispettivo.
I beni digitali entrano nell’asse ereditario
L’avvento della tecnologia nelle nostre vita ha, tra le altre cose, accelerato il processo di smaterializzazione dei beni: si pensi alle valute virtuali, quindi ad esempio ai Bitcoin, si pensi all’arte immateriale e infungibile degli Nft e Cryptoarte, si pensi ai cloud service che consentono di vendere o immagazzinare documenti e foto (virtuali anch’essi) su uno spazio privo di spessore.
Tuttavia, benché i beni e i patrimoni siano soggetti a continua trasformazione, la tutela di questi, dal punto di vista giuridico, rimane pressoché invariata: infatti, la tutela dei beni che si muovono “nel terreno” di internet è (tranne che per alcuni sporadici interventi del legislatore) comunque affidata alle stesse norme che tutelano i diritti in ambito non informatico.
Il diritto delle successioni, dunque, refrattario ad ogni innovazione, non è stato particolarmente influenzato dalla diffusione dei “cespiti digitali”.
A tal proposito, per limitare l’ambito di indagine della successione nei beni digitali, vale la pena soffermare l’attenzione su una categoria, per così dire, emblematica. Vale a dire le Criptovalute.
Il caso delle criptovalute
Le criptovalute, la cui creazione è affidata al processo c.d. di “mining” ad opera di singoli utenti operanti in una blockchain, rientrano a pieno titolo tra i beni digitali aventi carattere patrimoniale.
Le valute virtuali possono essere detenute in diversi modi e ogni metodo di detenzione influisce sulla successione mortis causa delle stesse. Tra i principali metodi di detenzione delle criptovalute si annovera:
- detenzione attraverso fondi comuni di investimento
- detenzione attraverso l’apertura di una posizione presso banche o altri intermediari
- detenzione diretta.
Le criptovalute detenute attraverso fondi comuni di investimento, futures o altri strumenti finanziari di tipo speculativo, rientreranno tra i beni dell’asse ereditario.
Le criptovalute detenute a titolo di indice di uno strumento finanziario non pongono particolari problemi in quanto oggetto della successione sarà lo strumento finanziario stesso. E le criptovalute detenute presso banche o altri intermediari seguiranno il medesimo processo previsto, ad esempio, per i conti correnti o altri strumenti aperti presso istituti finanziari.
Le criptovalute detenute in modo diretto dall’utente (quindi dal de cuius), attraverso un wallet personale, invece, presentano più problemi: infatti, i legatari o gli eredi dovrebbero avere un’apposita chiave privata e crittografata per entrarne in possesso e accedere alla valuta virtuale. Proprio per questo motivo, per quanto riguarda il caso della detenzione diretta, potrebbe essere opportuno, per tutelare i propri beni e garantirne un corretto passaggio generazionale, nominare per tempo un “custode” delle chiavi, e attraverso strumenti quali il mandato post mortem exequendum garantire la trasmissibilità dei dati d’accesso agli eredi designati.
Facilitare la trasmissione dei beni digitali
Gli eredi possono essere autorizzati ad entrare in possesso delle password e degli account del de cuius tramite apposita dichiarazione di quest’ultimo che ne indica i nominativi.
Tuttavia, oltreché individuare la persona designata a gestire, in caso di morte, le proprie credenziali è consigliabile anche predisporre a favore di quest’ultima un documento recante le istruzioni da seguire in caso di decesso, indicando, ad esempio, quali sono i dati da distruggere e quali beni consegnare a determinati soggetti.
Tra gli strumenti particolarmente utili quando oggetto di successione sono beni digitali e quando si tratta di garantire il passaggio generazionale delle opere d’arte digitali si annovera il mandato post mortem exequendum. Si tratta di un contratto in forza del quale una persona di fiducia, individuata dal titolare dei beni (ad esempio un collezionista di Nft), s’impegna, in caso di morte di quest’ultimo, a svolgere un attività materiale o atti esecutivi a tutela di detti beni.
Più nel dettaglio, detto mandato è un contratto inter vivos, la cui esecuzione è differita e avverrà alla morte del mandante: il mandatario, alla morte del de cuius, dovrà compiere – secondo le istruzioni ricevute – determinati atti idonei a tutelare i beni digitali. Pertanto, secondo le istruzioni ricevute, dopo la morte del mandante, il mandatario potrà accedere con le password ricevute ai dati digitali e garantire il rispetto delle sue volontà.