Il sistema drop-shipping o drop-ship, si è sviluppato oltre una decade fa in Nord-America. Applicato sia nella vendita di prodotti B2B che B2C, ha avuto la sua progressiva espansione con la vendita di prodotti su piattaforma web. Prima eBay, poi Amazon e via via i vari operatori hanno permesso l’apertura di negozi virtuali – market-place dove i drop-shipper mettevano in vetrina i prodotti. In questo momento Shopify.com sta divenendo un punto di riferimento nella creazione di market-place impostati sul modello di drop-shipping.
I market-place guadagnano dalla differenza di prezzo tra il costo applicato dal drop-shipper e il prezzo di vendita finale applicato on-line.
Questo particolare meccanismo di fornitura e commercializzazione di beni massimizza i processi di raccolta ordini, la produzione, la supply-chain in generale fino al trasporto a destino, riducendo al contempo gran parte dei rischi sottostanti l’operazione: il rischio di controparte (insoluti), il rischio finanziario (indebitamento per finanziare il capitale circolante e in particolare il magazzino) e i rischi operativi (aumento dei costi fissi, riduzione della leva operativa).
Descritto così, il drop-shipping sembra una nuova tecnica innovativa per aumentare l’efficienza dei processi aziendali riducendo i costi, in tempi rapidi e sforzi ragionevoli. Quasi una nuova forma di crossfit applicato al mondo del business.
Fino a quando l’e-commerce con modalità drop-shipping è gestito direttamente dal fornitore/distributore (comunitario) del prodotto, i problemi e i rischi sono contenuti e il drop-shipping apporta benefici sia dal lato del cliente (sia business che consumer) che dal lato del drop-shipper (produttore/distributore) che si traducono spesso in prezzi di vendita più competitivi.
Lo schema tipo è: (i) cliente Italiano (ii) un intermediario che gestisce l’e-commerce in lingua italiana che propone prodotti a prezzi competitivi (iii) prodotto di origine cinese. In questo caso si può materializzare la forma più netta e palese di concorrenza sleale. Come? Alcuni esempi non esaustivi.
Violazione della normativa doganale comunitaria
In materia di obbligazioni doganali, l’art. 202, punto 3, del Reg. Cee 12 ottobre 1992, n. 2913/1992, cd. codice doganale comunitario e le successive innovazioni giurisprudenziali, dispongono che tra i soggetti obbligati agli adempimenti doganali rientrano:
- la persona che ha proceduto a tale introduzione irregolare,
- le persone che hanno partecipato a questa introduzione sapendo o dovendo, secondo ragione, sapere che essa era irregolare,
- le persone che hanno acquisito o detenuto la merce considerata e sapevano o avrebbero dovuto, secondo ragione, sapere allorquando l’hanno acquisita o ricevuta che si trattava di merce introdotta irregolarmente.
Per quanto riguarda il cliente o utente finale italiano vi è il rischio fondato che questi debba affrontare degli oneri doganali quando il drop-shipper o la sua merce arrivano da paesi extra-Ue.
Violazione della normativa Iva all’importazione
Chi versa l’Iva in dogana? Nessuno, vedere il paragrafo precedente.
Violazione della normativa in materia di marchiatura Ce
Per poter essere venduti sul mercato europeo, i prodotti devono ottenere la marcatura Ce a garanzia che i requisiti previsti dall’Unione europea in materia di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente siano rispettati.
Ogni violazione, sono costi amministrativi e oneri fiscali in meno (non) sostenuti dagli operatori economici irregolari. Ecco come ci si fa beffa dei concorrenti.
There’s no such thing as a free lunch, titolava Milton Friedman nell’opera che lo condusse al premio nobel per l’Economica nel 1976. Ciò che può essere gratuito per un individuo, in realtà nasconde sempre un costo. Quale?
Se una cosa costa meno oppure ha un prezzo pari a zero (è a gratis o “for free”) spesso e volentieri è perché esiste un costo occulto che qualcuno dovrà pagare: l’individuo, la collettività, o il cliente medesimo, poco importa. Minori entrate tributarie, riduzione del numero di aziende nazionali ed europee a beneficio di competitor irregolari, perdita di posti di lavoro, utilizzo di prodotti potenzialmente dannosi per chi li usa. Questo un esempio del costo in termini individuali e collettivi.
Sia il Legislatore comunitario che quello nazionale hanno avviato iniziative per provare a contrastare gli abusi. Con l’articolo 13 comma 1 del DL 34/2019 convertito con la Legge 58/2019 (decreto Crescita del governo Conte 1) è stato introdotto in Italia un nuovo adempimento di compliance a carico dei gestori dei marketplace e di qualsiasi altra tipologia di piattaforma digitale che “facilita” le vendite a distanza ai fini del monitoraggio e del contrasto alle attività illecite. Inoltre, dal 12 luglio 2020 sarà in vigore il Regolamento Ue 2019/1150 per i marketplace, che promuove l’equità e la trasparenza per gli utenti commerciali dei motori di ricerca e dei servizi di intermediazione online. Nella speranza che tali provvedimenti siano utili strumenti di contrasto alle violazioni poste in essere da operatori web internazionali, intermediari avidi e utenti poco consapevoli e piuttosto tirchi.