Gli istituti dell’imputazione ex se e della collazione – pur avendo presupposti, finalità e ambiti di applicazione differenti, riguardando il primo l’azione di riduzione per reintegrazione di legittima e il secondo la divisione ereditaria – sono accomunati dal fatto che la loro operatività può, entro certi limiti, essere esclusa dal de cuius, tramite apposita “dispensa”.
Infatti, da un lato, l’art. 564 c.c. – nell’indicare le condizioni per l’esercizio dell’azione di riduzione – prevede che il legittimario pretermesso o leso, che agisca per conseguire la quota di riserva cui ha diritto, è obbligato a ricomprendere nella propria quota le donazioni e i legati eventualmente ricevuti dal defunto, tenendone conto ai fini della riunione fittizia di relictum e donatum, “salvo che ne sia stato espressamente dispensato”; tale obbligo si estende anche agli eredi che succedono per rappresentazione al legittimario, i quali sono tenuti ad imputare anche le donazioni e i legati “fatti senza espressa dispensa” all’ascendente.
Dall’altro lato, l’art. 737 c.c. impone a coniuge e discendenti, che concorrono alla successione, di conferire nell’asse, a fini divisori, quanto ricevuto in donazione dal de cuius, “salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati”.
Dispensa da imputazione e da collazione: due fattispecie distinte
Le due fattispecie sono, comunque, fra loro distinte e operano in maniera indipendente: conseguentemente, la dispensa da imputazione non esonera affatto dall’obbligo di collazione, che riguarda tutti i beni donati, a prescindere dalla loro imputazione (cfr. Cass. civ., sez. II, 10/02/2006, n. 3013); analogamente, la dispensa da collazione non sottrae il bene donato alla riunione fittizia, ai fini della determinazione della porzione disponibile e di quella di riserva (cfr. Cass. civ., sez. II, 29/10/2005, n. 22097).
La dispensa da imputazione può comunque cumularsi con quella da collazione, se ne ricorrono i presupposti e se il donante intende beneficiare il donatario di entrambe.
Secondo la tesi più risalente in dottrina e giurisprudenza, la dispensa rappresenterebbe solo una modalità della donazione e un patto accessorio, sul presupposto che il donante, allorché la preveda, voglia in realtà realizzare un’unica operazione liberale caratterizzata dalla peculiarità dell’esonero dagli obblighi di imputazione e collazione; più recentemente si è però diffuso l’orientamento (recepito in giurisprudenza da Cass. civ., sez. II, 29/10/2015, n. 22097), secondo cui essa configura un negozio autonomo, che può essere contenuto sia nel medesimo atto di donazione, sia in un atto successivo ed anche nel testamento.
La dispensa dall’imputazione può essere disposta esclusivamente in favore dei legittimari (coniuge, discendenti e – in assenza di questi ultimi – ascendenti) e ha lo scopo di far gravare la liberalità effettuata in vita, ovvero la disposizione a titolo particolare contenuta nel testamento, non sulla quota di legittima spettante al beneficiario, ma sulla porzione disponibile; per l’effetto, il legittimario avrà diritto a conseguire l’intera quota di riserva in aggiunta alla donazione o al legato.
La dispensa dalla collazione riguarda, invece, solo coniuge e discendenti che siano chiamati alla successione e consente al beneficiato di trattenere, in sede di divisione, le donazioni ricevute, che non formeranno pertanto parte dell’asse da ripartire fra i vari coeredi, e che non dovranno pertanto essere considerate ai fini della formazione delle varie quote.
In dottrina, si è ritenuta ammissibile anche una dispensa parziale, con la conseguenza che il donatario sarà tenuto a imputare o conferire solo quanto non espressamente dispensato.
Le limitazioni della dispensa da imputazione ex se e dalla collazione
I vantaggi per il beneficiario derivanti dalla dispensa incontrano, tuttavia, alcune limitazioni.
L’art. 564, comma 4, c.c. precisa, infatti, che la dispensa da imputazione ex se “non ha effetto a danno dei donatari anteriori”. Ciò si spiega con il fatto che, se il defunto ha già effettuato donazioni, egli ha in tal modo già in parte utilizzato la quota disponibile; conseguentemente, la dispensa a favore del donatario successivo può avere efficacia esclusivamente nella misura in cui vi sia ancora una porzione disponibile residua (d’altro canto, se il legittimario potesse aggredire le liberalità precedenti alla propria, la dispensa si risolverebbe di fatto in una non consentita revoca delle donazioni precedenti).
Analogamente, l’art. 737, comma 2, c.c. precisa che “la dispensa dalla collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile”, non potendo pertanto intaccare la quota di riserva spettante ai vari legittimari.
In giurisprudenza si è di recente precisato che, qualora la donazione dispensata ecceda la disponibile, ciò non significa che l’eccedenza sia soggetta a collazione, ma piuttosto che il beneficiario è esposto, per tale eccedenza, all’azione di riduzione; ciò in ragione del fatto che la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell’altrui legittima (Cass. civ., sez. II, 8/10/2021, n. 27377).
La dispensa da imputazione deve essere “espressa”, ed è pertanto necessario che essa risulti con certezza e univocamente dalla disposizione, anche se non sono richieste formule sacramentali; resta quindi esclusa la possibilità di ricostruire la volontà del disponente in modo implicito o sulla base di elementi extratestuali.
Si è pertanto ripetutamente negato che possa configurare una valida ed efficace dispensa dall’imputazione la generica dichiarazione del donante che la liberalità viene da lui effettuata in tutto o in parte “sulla disponibile” (cfr. Cass. civ. sez. II, 30/05/2017, n.13660); al contrario, la dispensa da collazione può manifestarsi anche con fatti concludenti o espressioni che comunque denotino la volontà del de cuius di assegnare il bene come beneficio supplementare rispetto alla quota ereditaria.
È possibile revocare una dispensa dall’imputazione o dalla collazione già effettuata?
Infine, può essere utile chiedersi se il disponente possa “pentirsi” e revocare una dispensa dall’imputazione o dalla collazione già effettuata.
In passato la giurisprudenza ha escluso la possibilità di revoca unilaterale, allorquando la dispensa fosse contenuta in un contratto di donazione, richiedendosi a tal fine il consenso sia del donante che del donatario; laddove però si riconosca – sulla scorta di una tesi più recente – l’autonomia dell’atto di dispensa rispetto alla donazione a cui si riferisce, nulla osterebbe all’ammissibilità di una successiva revoca da parte del donante, a prescindere dall’assenso o meno del beneficiario. Si è infatti evidenziato che la dispensa sarebbe comunque destinata a divenire efficace solo a seguito dell’apertura della successione e che rappresenterebbe, anzi, un atto essenzialmente unilaterale e posto nell’esclusivo interesse del donante, con conseguente irrilevanza del consenso del beneficiario, anche ai fini di un’eventuale revoca.
Nessun dubbio, invece, può esservi laddove la dispensa sia già contenuta in un atto di ultima volontà, suscettibile di essere revocato in ogni momento dal testatore.
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