Capita sempre più spesso di leggere di disconoscimenti di opere d’arte da parte dello stesso artista che ha realizzato l’opera e il quesito che tutti si pongono è: l’artista può davvero con una sola parola (arbitraria e imprevedibile) far perdere ad un’opera d’arte tutto il suo valore artistico ed economico?
Quando si legge di un disconoscimento di un’opera d’arte la memoria richiama l’art. 20 Legge sul diritto d’autore (LDA) che tutela i diritti morali d’autore contro l’alterazione, il danneggiamento e l’offesa derivanti da un’alterazione, una modifica, una mutilazione o la distruzione dell’opera d’arte.
Ovviamente non è precluso all’artista il diritto di distruggere o alterare un’opera da lui realizzata quando è ancora nella sua sfera patrimoniale, tuttavia questo diritto non trova più una tutela quando l’opera d’arte (fisica) diviene di proprietà di un terzo e pertanto non è possibile riconoscere all’artista il potere di intervenire in maniera così pregiudizievole nella sfera patrimoniale di un terzo.
Tuttavia, il Legislatore riconosce all’artista il c.d. “diritto al pentimento” (ex art. 142 LDA), il diritto – personalissimo dell’autore, ossia non trasmissibile agli eredi – di ritirare l’opera dal commercio quando concorrono gravi ragioni morali, salvo l’obbligo di indennizzare coloro che hanno acquistato l’opera o i diritti di riprodurre, diffondere, eseguire, rappresentare o spacciare l’opera medesima.
A voler definire i limiti al diritto al pentimento già indicati all’art. 142 LDA, il successivo art.143 LDA, prevede che l’autorità giudiziaria, se riconosce che sussistono gravi ragioni morali invocate dall’autore, ordina il divieto della riproduzione, diffusione, esecuzione, rappresentazione o spaccio dell’opera, a condizione del pagamento di una indennità a favore degli interessati, fissando la somma dell’indennizzo e il termine per il pagamento”.
Pertanto, il diritto al pentimento è strettamente legato a due capisaldi: (1) una grave ragione morale sofferta dall’artista e (2) il pagamento di un’indennità in capo al proprietario dell’opera o dei diritti sulla stessa.
Eppure, quello che più spesso accade è la volontà da parte degli artisti di disconoscere un’opera senza incorrere in alcuna conseguenza derivante dalla loro scelta, mettendo in questo modo anche a repentaglio gli equilibri di un mercato in cui i beni scambiati vedono il proprio valore fondato sull’autenticità dell’opera.
Con una sentenza del 2019, il Tribunale di Milano che ha visto la richiesta di Jeff Koons di disconoscere un’opera da Egli firmata e di proprietà di un collezionista italiano si è pronunciato sui limiti del diritto dell’autore di disconoscere un’opera da Egli creata.
La sentenza parte dal presupposto secondo cui il diritto di disconoscere l’opera è una articolazione del diritto morale di rivendicare la paternità dell’opera (art. 20 LDA) e che può subire delle limitazioni in alcuni casi.
In particolare, il Tribunale ha richiamato il diritto morale all’integrità dell’opera (inteso come il diritto dell’autore di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione o altra modificazione, e a ogni atto a danno dell’opera stessa), che non viene riconosciuto se manca un pregiudizio all’onore o alla reputazione, nonché il diritto al ritiro dell’opera dal commercio, che viene riconosciuto all’autore solo in presenza di gravi ragioni morali.
Al termine dell’istruttoria, il Tribunale ha ritenuto (i) che l’esemplare disconosciuto dall’artista di proprietà del collezionista italiano è un esemplare firmato e numerato, inizialmente riconosciuto come proprio dall’artista, da lui utilizzato anche in una mostra a Colonia nel 1988; (ii) che di tale esemplare non è stata dimostrata la natura di prototipo difettoso, né risulta che l’artista abbia dato disposizioni per la sua distruzione e (iii) che quell’esemplare era circolato sul mercato sin dal 1988, circostanza nota e accettata dall’artista.
Sulla base di queste circostanze di fatto e in applicazione dei principi in materia di diritto d’autore, il Tribunale ha ritenuto che non sussistesse in concreto il diritto dell’artista di disconoscere l’opera e, di conseguenza, ha rigettato tutte le domande che si fondavano su tale presupposto.
Secondo il Collegio, infatti, mancava la prova del carattere lesivo dell’opera per la reputazione dell’artista e mancavano le gravi ragioni morali volte a giustificare il ritiro dal commercio dell’opera rinnegata.
Con uno sguardo agli ordinamenti di common law, la legge non è così generosa nei confronti dell’artista come in Italia, non prevedendo la possibilità per l’autore di un vero e proprio diritto di pentimento, quanto alla propria opera, nemmeno per ragioni di ordine morale.
Ciò ha condotto, in diversi casi, ad alcune situazioni estreme: si pensi ad esempio, all’artista John Baldessari, il quale attraverso la propria operazione concettuale Cremation Project nel 1970 ha bruciato tutte le proprie opere giovanili, da cui aveva deciso di prendere le distanze.
La seconda parte del contributo sarà online martedì 31 maggio 2022.
In apertura, Jeff Koons.