La disciplina fiscale applicabile alle criptovalute prima della legge di bilancio 2023
La tassazione delle criptovalute in Italia ha rappresentato a lungo un terreno incerto per investitori e operatori del settore. Prima del 2023, il trattamento fiscale di bitcoin e simili era guidato da interpretazioni occasionali e documenti di prassi che lasciavano alcuni dubbi.
Le plusvalenze, ad esempio, erano assimilate a quelle derivanti dalla cessione, a titolo oneroso, di valute estere; mancando, però, una base normativa solida per tale assimilazione si era creata una situazione di ambiguità interpretativa.
La posizione dell’Agenzia delle entrate sul trattamento dei bitocoin e delle altre criptovalute ai fini delle imposte dirette
Alcune risposte dell’Agenzia delle entrate, in particolare la n. 788 del 2021, la n. 397 e la n. 437 del 2022, avevano sposato quella che era allora la tesi prevalente, secondo cui i bitcoin e le altre criptovalute erano suscettibili di produrre redditi diversi ex art. 67 c.1 lett. c) del Tuir, alla stregua di valute estere tradizionali, tassabili con imposta sostitutiva nella misura del 26%.
Ne conseguiva che le operazioni di compravendita, quando poste in essere da persone fisiche fuori dalla sfera di impresa, potevano generare materia imponibile – inquadrabile tra i redditi diversi – se:
- derivavano da cessioni a termine (articolo 67, comma 1, lett. c-ter, Tuir)
- derivavano da cessioni a pronti, a condizione che nel periodo di imposta l’ammontare della giacenza media di criptovalute fosse stata superiore a un controvalore in euro di 51.645,69 per più di sette giorni lavorativi consecutivi (articolo 67, comma 1- ter, Tuir).
Si noti che l’equiparazione delle criptovalute alle valute estere implicava inoltre un “trascinamento” delle criptovalute nel paniere di tutte le valute, ai fini della determinazione del limite di 51.645,69 euro.
Gli obblighi di monitoraggio delle criptovalute
Tuttavia, a differenza delle valute estere, i bitcoin e tutte le altre criptovalute non dovevano essere assoggettate a Ivafe (cfr. risposta n. 788/2021), ma solo indicate nel quadro Rw, qualora non fossero conservate in “portafogli elettronici” (in gergo anche definiti wallet e consistenti in una chiave “pubblica” e in una chiave “privata”) detenuti presso intermediari finanziari residenti abilitati e/o società italiane prestanti servizi relativi a cripto attività.
Il ruolo delle società che prestano servizi relativi a cripto attività
Proprio le società che prestano servizi relativi a cripto attività, sia relativi all’utilizzo di valuta virtuale che di portafoglio digitale, che per effetto del decreto 13 gennaio 2022 del ministero dell’Economia e delle finanze sono tenute a iscriversi al registro degli operatori di valute virtuali istituito presso l’Organismo agenti e mediatori finanziari e sono obbligate a trasmettere periodicamente informazioni sulle operazioni effettuate per conto dei clienti, sono sempre più assimilati, infatti, agli intermediari finanziari.
Tali soggetti, infatti, sono da un lato oggi chiamati ad assolvere gli obblighi di monitoraggio e, dall’altro, sono stati inclusi tra gli operatori che possono applicare l’imposta sostitutiva del 26% per conto del contribuente (secondo il D.Lgs. n. 461/1997, applicando il regime di risparmio amministrato).
Le novità sulla tassazione delle criptovalute introdotte dalla legge di Bilancio 2023
Con l’arrivo della legge di Bilancio 2023, il panorama fiscale per le cripto attività, e quindi anche per le criptovalute, ha subìto un cambiamento significativo.
La legge ha introdotto una definizione formale di cripto attività, tramite l’aggiunta della lettera c-sexies) all’articolo 67 del Tuir, per assoggettare a tassazione i redditi derivanti dalla detenzione e cessione di cripto attività. La nuova normativa stabilisce, in estrema sintesi, che:
- le cripto attività sono considerate come rappresentazioni digitali di valore o di diritti, trasferibili e memorizzabili elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o tecnologie analoghe;
- i redditi derivanti da queste attività, che non rientrano nelle definizioni di redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, o redditi d’impresa, sono classificati come “redditi diversi” e quindi soggetti a tassazione;
- questo include i proventi e le plusvalenze derivanti da cessioni a pronti, rimborso, permuta di cripto attività, attività di staking, cessioni a termine di cripto-valute che non siano strumenti finanziari in forma digitale, e la cessione di Nft già emessi.
La circolare n. 30/E del 27 ottobre 2023 dell’Agenzia delle entrate ha consolidato questi cambiamenti, offrendo chiarimenti attesi e dettagliati sul trattamento fiscale delle cripto attività.
La tassazione delle cripto valute: i presupposti impositivi
Le principali novità per le criptovalute riguardano i presupposti impositivi: venuta meno l’assimilazione con le valute estere tradizionali, il capital gain (a pronti) è tassato indipendentemente dal superamento della soglia di 51.645,69 euro, ma con una franchigia di 2.000 euro, e senza tener conto di eventuali oneri inerenti l’acquisto e la vendita.
Mentre prima della modifica normativa anche lo scambio tra due criptovalute (ad esempio l’acquisto di ether con conversione di bitcoin) era considerato evento potenzialmente imponibile, alla stregua come detto di due valute estere, in base alla nuova norma, così come confermato dalla circolare, solo la conversione di criptovaluta in valuta fiat o l’impiego per acquistare una diversa (“per caratteristiche e funzioni”) tipologia di cripto attività rappresenta un presupposto della nuova tassazione.
L’introduzione dell’imposta “patrimoniale” sulle cripto attività
Una novità significativa contenuta nella legge di Bilancio 2023 è l’introduzione di una nuova imposta “patrimoniale” sulle cripto attività (incluse, quindi, le criptovalute), da applicarsi in misura dello 0,20% del valore al termine di ciascun anno solare rilevato dall’exchange, in tutti i casi in cui l’imposta di bollo non è applicata dall’intermediario, ovvero nel caso in cui, ad esempio, le cripto attività siano detenute presso intermediari non residenti o archiviate su chiavi Usb, personal computer o smartphone.
Il versamento della nuova imposta sulle cripto attività, al pari dell’Ivafe, avviene previa liquidazione della stessa nel quadro Rw.
Alcuni rilievi in merito agli obblighi di monitoraggio
Secondo la formulazione della legge di Bilancio, a differenza di quanto previsto per gli investimenti e le attività estere “tradizionali”, tutte le cripto attività devono essere indicate nel quadro Rw della dichiarazione dei redditi, indipendentemente dalle modalità di archiviazione o conservazione e senza distinzione rispetto al luogo in cui queste sono detenute. Anche le criptovalute detenute in Italia, quindi, sono soggette agli obblighi di monitoraggio.
La circolare, però, specifica che anche le criptovalute “possono rientrare nelle previsioni di esonero dal monitoraggio fiscale di cui al comma 3 dell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990, il quale stabilisce che gli obblighi di indicazione nella dichiarazione dei redditi non sussistono per le attività finanziarie e patrimoniali affidate in gestione o in amministrazione agli intermediari residenti e per i contratti comunque conclusi attraverso il loro intervento, qualora i flussi finanziari e i redditi derivanti da tali attività e contratti siano stati assoggettati a ritenuta o imposta sostitutiva dagli intermediari stessi”.
Tenuto conto della natura delle cripto attività, in caso di mancata indicazione del quadro Rw, non si applica il raddoppio della sanzione prevista per la detenzione di investimenti all’estero ovvero di attività estere di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato.
Sono infine esonerati dal versamento della nuova imposta, oltre che dalla compilazione del quadro Rw, i soggetti neo-residenti che hanno optato per il regime dell’imposta sostitutiva ex art. 24-bis del Tuir e che, in virtù del pagamento della flat tax annua di 100.000 euro, non dovranno dichiarare eventuali capital gain “di fonte estera” prodotti da cripto valute (rectius, le chiavi che danno accesso alle stesse), e cioè quelle detenute “indirettamente” presso un intermediario finanziario o un prestatore di servizi non residente nel territorio dello Stato o “direttamente” dal soggetto tramite supporti di archiviazione (quali ad esempio chiavette Usb) se il supporto di archiviazione non si trova nel territorio dello Stato.